
L’uomo è indiscutibilmente un grande. L’uomo è anche grosso: pesava cento chili negli anni ’60 e oggi che è immerso in altri sessanta, i suoi, non meno favolosi pare sia vicino al quintale e mezzo. L’uomo crede fermamente in Dio, ma del Creatore e della Creazione ha sempre avuto una visione lontana da quella punitiva di certo cristianesimo: “Mi persi in quel versetto della Bibbia che dice ‘Crescete e moltiplicatevi’. Non andai avanti a leggere”. E difatti è diventato padre ventuno volte. Tale è la sua fede che è pastore di una congregazione. Fondata dalla nonna e da lui guidata, dacché era a malapena un adolescente, insieme a uno zio di sette anni più anziano, conta frequentatori a decine di migliaia e poco meno di duecento sedi. È la Casa di Dio per Tutta la Gente, dice orgogliosamente quando è serio, salvo poi scoppiare in un’omerica risata e ammettere che ─ in verità, in verità vi dico ─ è la chiesa dell’Ognuno Faccia i Suoi Comodi. Lo zio è defunto nel 1982, evento che ha evitato scismi, siccome non credeva (sto citando il solito Peter Guralnick) “nella guarigione attraverso i miracoli, nella libera interpretazione della Bibbia e nel vestire in modo informale”. Spiega il nostro uomo: “La mia concezione della religione è per tanti versi simile a quella che aveva lui, ma per altri assai diversa. Fondamentalmente, è guidata dalla stessa filosofia ma io ne do un’interpretazione più aperta e spettacolare: Dio, soldi e donne! Verità, amore, pace e sballo”. Se vi sembra la chiesa che avrebbe potuto frequentare John Belushi, siete nel giusto. Pensate ai Blues Brothers. Quali canzoni vi vengono in mente? Una è sicuramente Soul Man, l’altra è Everybody Needs Somebody To Love. Ebbene, fu il nostro uomo a portare per la prima volta in classifica quest’ultima. Era il 1964.
Il nostro uomo è iperattivo e ha sempre saputo curare i propri affari. Non pago dei proventi che gli derivano da diritti d’autore, uscite discografiche e concerti (e qualche spicciolo certo deve venirgli pure dal pulpito), gestisce da quarant’anni una fiorente impresa di pompe funebri (leggenda vuole che abbia ottenuto la licenza per corrispondenza). Che deve fare, del resto? Tiene famiglia e che famiglia. Appena terminato di registrare il brano che fu il suo primo grande successo per la Atlantic (Just Out Of Reach, pionieristico esempio di crossover che in quel 1961 si fece valere nella graduatoria country come in quelle pop e rhythm’n’blues), schizzò fuori dallo studio di New York senza nemmeno riascoltarlo e tornò a Philadelphia a guidare uno spazzaneve, lavoro pagato mica male in tempi di paralizzanti tormente: quattro dollari all’ora. All’apice della fama, arrotondava guadagni invero lauti vendendo spuntini e bevande agli artisti che dividevano con lui massacranti tour collettivi e lunghi viaggi in pullman. Ingaggiato all’Apollo di Harlem, pretese di avere la concessione per lo spaccio di popcorn durante i suoi spettacoli e, non avendola ottenuta, installò un chiosco davanti al teatro. Wilson Pickett riferisce che una volta caricò a tal punto l’automobile che doveva portarli da una data a un’altra di Bibbie, di cui fare commercio dopo il concerto, che tutte e quattro le gomme scoppiarono. Dal suo canto lui ─ formidabile affabulatore che le spara grosse e tutti a credere che siano palle, fin quando non salta fuori fior di testimoni ─ racconta di quella volta che il suo gruppo prese settemilacinquecento dollari per esibirsi a una festa (non glielo dissero prima) del Ku Klux Klan. E di quell’altra che fu James Brown a dargliene diecimila, non per cantare ma per ammirarlo in azione e riconoscere che era lui, il Padrino, il vero re del soul. “Solomon Burke non può cantare questa sera perché è stato detronizzato”, annunciava al pubblico che schiamazzava perché esigeva colui che, fra gli altri soprannomi, è noto come The Bishop, il Vescovo. E il nostro uomo, impassibile, dopo avere rifiutato di posare una corona sul capo dell’invidioso pretendente al trono: “Amico, voglio dirti una cosa. Mi è piaciuto molto vederti cantare, è stato splendido. Se hai un altro lavoretto così da farci fare domani, noi ci stiamo, e per soli ottomila dollari questa volta. Purché sia tutto come stasera”.
Il nostro uomo crede in Dio e Dio evidentemente crede in Lui, se no non gli avrebbe donato una voce così bella e duttile, capace di transitare da un canto tenorile al più profondo dei bassi e viceversa, nella stessa canzone se non nella stessa strofa, voce dalla dizione chiarissima di seta e di terra, di sesso e di spirito.
Prosegue per altre 6.297 battute su Super Bad! – Storie di soul, blues, jazz e hip hop. Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.58, marzo 2003. Il Vescovo ci lasciava il 10 ottobre 2010, settantenne.