
“Tutto ciò che sapevo di Wilson Pickett è che era stato con i Falcons e aveva cantato il gospel. Mi procurai i suoi dischi e ascoltandone le parti da solista notai che invariabilmente, qualunque fosse il brano, arrivava un punto in cui parlava di come a mezzanotte avrebbe finalmente incontrato Gesù. Così mi dissi: bene, se è questo che ha in testa, è questo che devo scrivere per lui. Ecco da dove arriva l’idea, anche se non gli confessai mai che ero andato a sentirmi le sue vecchie cose spiritual. Cambiai soltanto le parole, da ‘waiting for Jesus in the midnight hour’ a ‘wait for your love in the midnight hour’, e vedi bene che è praticamente la stessa cosa. All’epoca l’ultima voga in fatto di balli era il jerk, arrivava da New York e come mosse era tipo la danza che fa il pugile sul ring. Noi eravamo in studio a lavorare su In The Midnight Hour, che ritmicamente si stava sviluppando in tutt’altro modo rispetto a come la conosci, ma Jerry Wexler era lì intorno che saltellava e ci diceva no, no, è questo il ritmo che dovete usare. Io e Al ci siamo detti ‘proviamo’ e non è che fosse una cosa inedita per noi. Una battuta è dove deve essere, due sono lievemente sfasate, appena in ritardo. Ci prendemmo bene a guardare Jerry che ballava e a seguirlo e quando riascoltammo il tutto ci piacque così tanto che decidemmo di non toccare più nulla.” (Steve Cropper)
Qualche sera fa, facendo zapping, mi sono imbattuto su Rai Doc in un documentario in due parti di un’ora cadauna intitolato Il treno del soul. O qualcosa del genere, già non ricordo più. Non importa. Quel che conta è che la prima metà era cominciata da forse dieci minuti e allora mi sono fermato lì, progressivamente sempre più furioso con la TV di stato che spende un sacco di soldi (era una sua produzione) per mandare apposta a Memphis una troupe, che fa uno splendido lavoro, e poi trasmette il tutto nottetempo e giusto su un canale vedibile solo da chi ha una parabola o il digitale terrestre. E progressivamente, avrete inteso, sempre più deliziato (perché non ho buttato dentro una cassetta? perché?). Comunque sia: a un certo punto salta fuori Keith Richards e mica faccio attenzione a quello che dice, nemmeno un po’, tanto sono affascinato dal reticolo di rughe che ha sul viso, faccia da indiano ottantenne. Mi ci perdo dentro (buono ’sto fumo, buono…). E poi sbuca Steve Cropper e chi potrebbe crederci che ha due anni e due mesi (meno tre giorni) più di Keef La Biffe? Ne compirà sessantatré il prossimo 21 ottobre e aveva certamente già passato i sessanta quando l’intervista è stata girata. Ma eccolo lì, ben piantato, coda di cavallo grigia e appena un filo di pancia da troppa coca (cola) e pollo fritto, un cinquantenne a guardarlo, nonostante abbia avuto (così rammento, vagamente) qualche problema di salute. Gentile e modesto, il pigro eloquio sudista che carezza le orecchie come le fusa di un felino torturato di coccole. E mi chiedo chi sia stato più importante fra lui e il Signore del Riff. Domanda oziosa? Risposta meno scontata di quanto non si potrebbe pensare sul subito, essendo costui l’uomo che ha messo la firma sotto classici del soul quali Green Onions, What A Fool I’ve Been, Can Your Monkey Do The Dog, Mr. Pitiful, Fa-Fa-Fa-Fa-Fa (Sad Song), Raise Your Hand, (Sittin’ On) The Dock Of The Bay, per non citarne che pochi fra i più famosi. Uno per il quale essere stato un quarto (e metà della metà più importante) di Booker T. & The M.G.’s è stato in fondo incidentale, così come l’avventura Blues Brothers. Il bianco che più ha dato alla soul music?
Prosegue per altre 6.681 battute su Super Bad! – Storie di soul, blues, jazz e hip hop. Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.74/75, luglio/agosto 2004. Steve Cropper compie oggi ottantun anni.
Un unico appunto: l’unico Signore del Riff, a maggior ragione quando si parla di chitarristi, è Tony Iommi. Per il resto, grazie e complimenti come sempre.
E Jimmy Page? Dove lo mettiamo Jimyy Page? Comunque, e come ben sai, sono un grandissimo fan di Tony Iommi.
Ah, bentornato… Mi stavo chiedendo che fine avessi fatto. 🙂
Hai ragione anche tu (na-na-na). Però se si pensa al puro riff, anzi, al Riff come essenza portante del brano e come forma compositiva che ne è derivata (in breve: hard rock e heavy metal), allora rimango dell’idea che il Signore del Riff sia Tony Iommi, con tutto il rispetto per Page (e Blackmore, via).
Grazie del bentornato. Non scrivo più molto perché col passare del tempo mi sono accorto che non ho molto di cui scrivere, soprattutto in maniera tale da stimolarne la lettura, però continuo a seguirti, come puoi immaginare 🙂 anzi, grazie per tenere vivo il blog.