Terry Callier – Di che colore è la musica?

Terry Callier è stato un perdente precoce. Sentite un po’. Quando nel 1964 entra in studio con un produttore di grido quale Samuel Charters per registrare un 33 giri per la Prestige, benché abbia appena ventun anni è già uno dei nomi più in vista di quella New York folk che è cresciuta intorno a Bob Dylan. Vi è arrivato un paio di anni prima dalla natia Chicago e nel suo primo concerto è stato spalla, proprio con Bob Dylan, di Ramblin’ Jack Elliot. I suoi amici si chiamano David Crosby, Dino Valenti, Fred Neil. Ha qualche affinità con quest’ultimo ma nel complesso il suo stile è invero peculiare: basti dire che sfoggia accenti che riscopriremo in Nick Drake e si fa accompagnare in sala, in scoperto omaggio all’Ornette Coleman di “Free Jazz”, da due contrabbassisti. È nero, ma si muove in un ambiente di bianchi quale il Village. Non c’entra né con la Stax né con la Motown e il suo blues, acustico e dolente, è antitetico a quello canonizzato proprio a Chicago da Muddy Waters ed elettrica compagnia.

“The New Folk Sound Of Terry Callier” rinnova il folk come promette il titolo e non esce (poi vi spiego) per un’etichetta jazz. È un UFO, una Luna Rosa con la melanina impazzita, a farla breve e chiara un disco da isola deserta. Personalissimo e addirittura rivoluzionario senza che il Nostro, che mette in fila quattro tradizionali sulla prima facciata e quattro cover sulla seconda, firmi nemmeno un pezzo. È l’interpretazione a fare inaudite queste otto canzoni, trepidi arabeschi di chitarre che sciacquano il flamenco nel Mississippi (It’s About Time) o fanno folk-jazz Bo Diddley (Promenade In Green), mentre la voce sa tanto più di campagne inglesi quanto più scende a Sud (Cotton Eyed Joe). Insopportabilmente/sublimemente triste in quel carpe diem più memento mori chiamato Johnny Be Gay If You Can Be, angelica (un angelo stanco di volare) in 900 Miles, ispida in I’m A Drifter, otto spastici minuti che stanno a Pete Seeger come la New Thing ayleriana al cool.

Uscisse, “The New Folk Sound Of Terry Callier”, farebbe probabilmente scalpore e gli “oh” e gli “ah” di meraviglia non si conterebbero. Accade invece l’inconcepibile: Charters sparisce in Messico portando con sé il master. Quando l’album vede la luce è già il 1968, il boom del folk è un lontano ricordo e nessuno se ne accorge. A momenti neppure lo stesso Terry Callier, che nel frattempo è tornato a Chicago e viene informato dal fratello, che ha visto la copertina in vetrina in un negozio. Non si scoraggia però. Entro l’anno pubblica un 45 giri su Chess, Look At Me Now, che vende pochissimo e oggi passa di mano a oltre 200.000 lire e nel settembre del 1969 rientra in studio di registrazione, con l’intenzione di realizzare un demo da mandare in giro per case discografiche. Alla regia ci sono Jeffrey Chouinard e George Edwards, chitarrista degli psichedelici H.P. Lovecraft, e le sedute fruttano sei canzoni magnifiche, questa volta tutte firmate da Callier.

Prosegue per altre 4.567 battute su Super Bad! – Storie di soul, blues, jazz e hip hop. Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.18, novembre 1999. Terry Callier ci lasciava il 27 ottobre 2012, sessantasettenne.

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