Musica facit saltus – Manuel Göttsching (9/9/1952-4/12/2022) dal krautrock alla techno

È da ieri, quando con otto giorni di ritardo si è diffusa la notizia della sua scomparsa, settantenne, che mi interrogo se ci sia stato un altro che come Manuel Göttsching sia riuscito a coprire l’arco impossibilmente ampio che dal blues (alla cui scuola crebbe) arrivò fino a house e techno (sulle quali esercitò un’influenza incommensurabile) passando per la psichedelia, per un rock che era post-punk ben prima che il punk stesso si palesasse, per una kosmische Musik sporta (anche) sulla ambient ben prima che Eno la teorizzasse. Se assumiamo, con Leibniz, che natura non facit saltus, l’intera vicenda artistica di questo chitarrista che fece suonare il suo strumento come nessuno mai, prima e dopo, dimostra invece l’opposto. E nondimeno una logica incontestabile nel continuo evolversi e una poetica affatto peculiare sottendono tutta la sua opera. È da ieri che mi chiedo a quanti altri protagonisti della musica del Novecento si possa più legittimamente applicare l’etichetta di “genio”. Non me ne sono venuti in mente molti.

Ash Ra Tempel Ash Ra Tempel (Ohr, 1971)

Protagonista principale della vicenda Ash Ra Tempel, nonché unico a traversarla dal principio alla fine, fu Manuel Göttsching, chitarrista di solida tecnica che una straordinaria inventiva ha quasi sempre salvato dalle tentazioni narcisistiche del virtuosismo fine a se stesso. Costui sul finire degli anni ’60 suonava nella Steeple Chase Bluesband, gruppo di Berlino dedito a una riscrittura lisergica della musica del diavolo che fu palestra anche per altri due futuri adepti del Tempio di Ash Ra: il bassista Hartmut Henke, che resterà in squadra fino a “Join Inn” compreso, e il batterista Wolfgang Müller, che rimarrà giusto il tempo necessario a scolpire la pietra miliare “Schwingungen”. Siccome un blues pur già poco canonico non bastava a soddisfarne gli slanci visionari, Göttsching pensò bene di andare a fare la sua cosa altrove. Con Henke al basso e Klaus Schulze, transfuga dai Tangerine Dream del grandioso “Electronic Meditation”, assiso dietro piatti e tamburi nacquero così gli Ash Ra Tempel. La loro vicenda si consumerà nel breve arco di tre anni generosi di album – ben cinque, tutti per la Ohr di Rolf-Urlich Kaiser – e intuizioni fulminanti.

Biglietto da visita sensazionale quello primo e omonimo. L’immagine egizia che campeggia sul davanti della lussuosa confezione promette il disvelarsi di verità a chi, aperta una copertina che si spalanca a mo’ di finestra, sappia addentrarsi nelle stanze cui quelle porte della percezione danno accesso. A mezzo secolo dacché fu eternata la musica che si leva dai solchi stupisce ancora. Suona moderna perché senza tempo, ma come quasi sempre è il caso con l’arte più innovativa non veniva dal nulla. Anzi! Le sue radici affondavano nella Detroit degli anni ’60, quella di MC5 e Stooges ma anche del jazz extraterrestre di Sun Ra, e nella Londra della prima ubriacatura lisergica. Nella psichedelia californiana. Naturalmente, visti i precedenti di Göttsching ed Henke, nel blues. La prima facciata è occupata dai 19’40” di Amboss, che parte con un incastro di cimbali e basso, diviene tellurica quando la batteria irrompe in scena con fare predatorio e magmatica quando la chitarra comincia a srotolare stordenti spirali di feedback. I 25’40” della Macchina dei Sogni, la Traummaschine, che monopolizza il secondo lato si porgono al contrario rilassanti: il Klaus lavora di congas, il Manuel di fino sulla sei corde, una misteriosa voce femminile evoca paradisi islamici. A dispetto della defezione pesante di Schulze, da lì a un anno con “Schwingungen” gli Ash Ra Tempel riusciranno addirittura a superarsi, ad andare oltre.

Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.281, ottobre 2021.

Ash Ra Tempel Schwingungen (Ohr, 1972)

Sembrò probabilmente faccenda da extraterrestri all’uscita l’omonimo debutto, datato 1971, degli Ash Ra Tempel: prendete la Detroit di Stooges ed MC5, impregnatela con il jazz saturnino di Sun Ra, ricordi di blues, cartoline di Londra in preda alla prima ubriacatura lisergica, intersecatela di sentieri felici quicksilveriani et voilà. Benché proveniente dal blues (ma aveva studiato pure chitarra classica e improvvisazione), il leader Manuel Göttsching piuttosto che un emulo di Clapton, o al limite di Hendrix, già vi si porgeva come un anticipatore del Keith Levine del “Metal Box”. Ancora di più in questo seguito, dove per ascoltare quegli a loro volta influentissimi P.I.L. – di sette anni posteriori! – non dovete che mettere su quella che era in origine la prima facciata: sono lì, in una Flowers Must Die che preconizza John Lydon persino nel titolo, laddove sul secondo lato Suche & Liebe adombra certi Pink Floyd. Quasi al pari interessanti, per non dire imperdibili, i successivi capitoli della saga dei Berlinesi, da “Seven Up”, in combutta con il guru psichedelico Timothy Leary, a “Starring Rosi”, passando per “Join Inn”. Fino all’avveniristico “Inventions For Electric Guitar”, del ’75 e di fatto l’esordio da solista di Göttsching. C’è chi vi ha individuato l’atto di nascita della techno.

Tratto da Rock: 1000 dischi fondamentali più cento dischi di culto, Giunti, 2019.

Manuel Göttsching E2-E4 (Inteam, 1984)

Copertina (una scacchiera giallo smorto e marrone) di un rigore geometrico totale che non si potrebbe immaginare più distante dall’iconografia da antico Egitto che aveva caratterizzato tredici anni prima l’esordio degli Ash Ra Tempel, compagine fra le più immaginifiche del krautrock, figlia del blues e mamma dei P.I.L. Se però si scorre la discografia dei Berlinesi, fra l’altro compagni di lisergiche merende di Timothy Leary in “Seven Up”, arrivati a “Join Inn” ci si imbatte in un’altra scacchiera e i conti cominciano a tornare. Rimasto proprietario del marchio, il leader Manuel Göttsching ha già realizzato nel 1975 un incredibile LP in perfetta solitudine, “Inventions For Electric Guitar” (messo fuori con doppia attribuzione per ragioni meramente commerciali), in cui, se lo strumento è quello sovrano del rock, il suono e l’impatto sono già quelli della techno. Nove anni dopo (in realtà sei, essendo queste registrazioni dell’81) Göttsching bissa, facendo scontrare temi alati e ritmi spasmodici e in tal modo inventando, inconsapevole, l’ambient-house. Altri cinque anni ancora e mezzo mondo ballerà sulle note di Sueño latino, un’irresistibile robetta balneare “made in Italy” tutta costruita su un campionamento da “E2-E4”.

Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.14, estate 2004.

1 Commento

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Una risposta a “Musica facit saltus – Manuel Göttsching (9/9/1952-4/12/2022) dal krautrock alla techno

  1. Francesco

    mi figlio si chiama Manuel… per questo nostro Manuel

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