
Niente di più difficile in musica che ripetersi senza ripetersi ed è l’impresa che è riuscita ai dublinesi più che mai (benché attualmente quattro risiedano a Londra e uno negli Stati Uniti) Fontaines D.C.: che a un debutto di strepitosa freschezza e travolgente energia quale “Dogrel” (aprile 2019) davano seguito appena quindici mesi dopo con l’al pari trascinante ma maggiormente variegato e di più spiccato lirismo “A Hero’s Death”. Triplice la sfida che si trovava ad affrontare la compagine irlandese con il “difficile terzo album”: restare riconoscibile senza trasformarsi in un cliché; sfilarsi dalla foltissima truppa di quanti dagli Interpol in poi sono stati sistemati alla voce “post-punk revival”; staccarsi l’etichetta di “nuovi U2”, che se arrivi da dove arrivano loro e hai il potenziale per riempire gli stadi ti tocca indipendentemente da cosa e come suoni. Oltretutto un marchio di infamia dacché Bono e soci sono diventati delle macchiette, due abbondanti decenni, e ciò pesa sulla percezione di un gruppo che in precedenza fu per quasi altrettanto viceversa inafferrabile, non esente da cadute ma a suo modo grandioso persino in quelle.
Per intanto i Fontaines D.C. sono grandiosi e stop e in un catalogo ormai di una quarantina di articoli si stenta a trovarne di anche vagamente accostabili a quegli altri dublinesi là (qui e forzando un po’ una Roman Holiday in una terra di mezzo fra “War” e “The Unforgettable Fire”). Per intanto ribadiscono di essere una band calata in ogni senso nel presente al di là del fatto che la new wave è classic rock da ancor prima che, appiattendone la prospettiva storica, YouTube e i servizi di streaming modificassero irreversibilmente il continuum spazio-temporale della popular music. Per intanto piazzano subito prima del post-grunge della traccia omonima, ottava di dieci, l’inaudito folk per sole fisarmonica e voce di The Couple Across The Way, avendo certificato essere il loro fin la meraviglia già con l’inaugurale In Ar Groithe Go Deo, liturgica con tanto di coro angelicato prima di un indefinito montare di tensione che la fa esplosiva. E da lì a Nabokov, che suggella porgendosi come una How Soon Is Now riscritta dai Sonic Youth, non ne sbagliano una. Forse si scioglieranno domani. Forse da qui a dieci anni saranno pure loro delle macchiette, ma oggi è oggi e oggi pochi scrivono canzoni della forza di Big Shot (dei Joy Division che scelgono la vita), How Cold Love Is? (da un tempo e un universo alternativi dove a capitanare gli Smiths è Robert Smith: immagina, puoi) o Bloomsday (ritmica strascicata, chitarre surf). Teniamoceli stretti, per intanto.
Felice di sapere che la pensi come me: un album (il terzo di fila) fantastico da parte di una band fantastica. Non so da quante ere geologiche non mi capitava di ascoltare un disco così tante volte da impararlo a memoria.
fino a quando avremo dischi cosi’ di musicisti cosi’ il futuro appare piu’ roseo, nessuna sterile nostalgia dell’ eta’ dell’ oro ma …oro in ogni eta’..ciao a tutti Giuseppe