Il mio disco preferito dei Fall

Esisterà un felice possessore dell’intero catalogo dei Fall? Trentuno album in studio, altrettanti (!) dal vivo, più cinque registrati parte in studio e parte in concerto, più una quarantina (!!!) di raccolte alcune delle quali tornano comode per recuperare molti dei brani usciti su una miriade di EP e di singoli, ma non tutti. Probabilmente nemmeno Mark E. Smith possedeva l’integrale di Mark E. Smith, anche per via di un rapporto altamente conflittuale (nel contesto di un rapporto altamente conflittuale con il mondo) con l’industria discografica. Per la più parte non approvati dal leader del combo mancuniano i troppi live, idem le antologie. È tutto un po’ “troppo” nell’universo di un gruppo che il cultore numero uno, John Peel, descriveva come “sempre diverso, ma sempre uguale”. Erano i suoi preferiti, tanto che proprio nell’ultima intervista, facendo un bilancio della sua vita inconsapevole di essere in vista del traguardo diceva: “Cascassi morto domani mattina, non potrei lamentarmi di nulla. A parte che mi perderei il nuovo album dei Fall”. Se n’è persi otto.

Io un po’ di più, nel senso che ne ho una dozzina, più la raccolta monstre dei 45 giri per la Rough Trade, e arriverò prossimamente a sfiorare la quindicina con un paio di classici “minori” che, sull’onda dell’emozione per la dipartita del nostro uomo, mi sono affrettato a fermare presso il mio spacciatore di fiducia di vinile usato. I classici “maggiori” (“Live At The Witch Trials”, “Grotesque”, “Code: Selfish”…) li ho già. E poi c’è “Bend Sinister”. Il terzo, massimo il quarto a entrarmi in casa, certamente il primo a venire acquistato in diretta (usciva il 29 settembre 1986), senza nemmeno attendere le recensioni come si usava allora. Per due ragioni. Seconda: contiene una strepitosa cover di uno degli inni del garage USA dei ’60, Mr. Pharmacist degli Other Half. Se possibile più contundente dell’originale. Prima: la foto di Brix al tempo Smith (nata Laura Elisse Salenger) sul retro di copertina. Solo in seguito la visione del videoclip proprio del pezzo in questione me la farà scoprire una normale splendida donna. Sul retro di copertina di “Bend Sinister” è la più incantevole che sia mai esistita. Per me. Era allora nel perfetto mezzo di un matrimonio durato sei anni con Mark E., la bella e la bestia tanto per ossequiare uno stereotipo. Con il senno del poi fu comunque quella un’età aurea per i Fall, cinque dei loro dischi migliori uno dopo l’altro e giusto il congedo dalla band e dal matrimonio di Brix, “I Am Kurious Oranj”, sottotono, un mezzo passo falso. Così, semiunanime, una giurisprudenza che per quanto ho ascoltato, e cioè solamente in questo periodo quasi tutto, mi trova d’accordo a parte che no, non ci sto a considerare “Bend Sinister” l’altro anello debole della catena. Nonostante il produttore John Leckie – che da lì a tre anni firmerà con l’omonimo debutto degli Stones Roses uno dei capolavori di sempre del pop UK – ricordi con orrore il momento in cui Mark E. si presentava in sala con una cassettina che aveva fatto girare all’infinito su un walkman e la richiesta di masterizzare alcune canzoni partendo da lì, pretesa che si vedeva respingere a brutto muso e per una volta trovava uno più testardo di lui. Sarà magari anche a ragione di ciò che in seguito liquiderà l’album sdegnandone la patina psichedelica applicatavi da Leckie. Salvo conservare per trent’anni Mr. Pharmacist fra i pochi brani pressoché immancabili nelle scalette dei concerti.

Ho appena scoperto, mettendo mano a questo pezzo, che il mio “Bend Sinister” in vinile è orbo dei 4’35” di un’undicesima traccia, Living Too Late, e dei 4’51” di una dodicesima, Auto-Tech Pilot, presenti come bonus soltanto nell’edizione in digitale e per inciso era questo il primo album dei Fall a venire pubblicato pure in CD (la cassetta ne offre anche una tredicesima che azzardo pletorica, registrata dal vivo). Me ne cruccio relativamente, giacché mi pare che la chiusa ideale per il disco non possa essere che la ripresa di quella Shoulder Pads che sul primo lato va dietro, sferragliantemente velvetiana, a un’ipotesi di Joy Division primordiali chiamata R.O.D. e alla danza sbilenca di Dktr. Faustus e precede la cover degli Other Half. Prima che Gross Chapel-British Grenadiers suggelli la facciata con i suoi 7’20” diversamente memorabili di ritmica marziale, chitarre acidule e tastiere rarefatte. Shoulder Pads a mio avviso è uno dei brani-simbolo dei Fall epoca Brix: qui si incontrano precisamente a metà via il gusto pop in precedenza inaudito introdotto dalla ragazza e l’enfasi declamatoria di un consorte giustamente sbigottito dalla convivenza forzata con chi “non distingue Doug Yule da Lou Reed”. Ma è l’intero secondo lato a pareggiare gli apici più apici della torrenziale produzione del gruppo, dall’industrial krautfunk di U.S. 80’s-90’s al vertiginoso rimpattino fra il sospeso e il vorticoso di Riddler!, passando per l’abbozzo di punk-beat Terry Waite Sez e una Bournemouth Runner che rolla ossianica, decolla furiosa, atterra sgangherata. E la morale di questa storia è: sempre farsi traviare da due begli occhi e fattezze d’angelo.

Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.238, marzo 2018.

1 Commento

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Una risposta a “Il mio disco preferito dei Fall

  1. Mauro

    Anche io ho sempre adorato “Bend Sinister”… e anche Brix, ovviamente…

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