Il blues che era già rock’n’roll di Lightnin’ Hopkins

Come in tanti altri grandi del blues, in Lightnin’ Hopkins – nato Sam Hopkins il 15 marzo 1912, morto il 30 gennaio ’82 –  convivevano l’istintiva furbizia di chi, cresciuto in miseria, ha fatto un’arte del sapersi arrangiare e un’ingenuità disarmante. Pensate che per tutta la vita fu solito cedere per contanti le canzoni che scriveva, riuscendo così a campare sempre in maniera dignitosa ma perdendo una fortuna in diritti d’autore (i tanti brani, ad esempio, che sui suoi dischi sono firmati Bill Quinn sono in realtà autografi). Da cui, e non solo frutto di una straripante urgenza creativa, la consistenza abnorme della sua discografia: decine di LP e centinaia fra 45 e 78 giri usciti per un numero non meno esorbitante di etichette.

Il modo migliore e più economico per accostarsi all’opera di questo gigante delle dodici battute è mettersi in casa “Mojo Hand”, doppio CD Rhino in box corredato da un corposo libretto. È probabilmente la migliore raccolta possibile del Nostro in sole quaranta canzoni e l’unica che copra la sua vicenda artistica per intero e, grosso modo, in ordine cronologico, dalle prime registrazioni per la Alladin del novembre ’46 all’album per la Sonet del 1974. Arrivato a incidere già trentaquattrenne e con uno stile perfettamente formato nel quale si era consumata la transizione dal blues rurale insegnatogli da Blind Lemon Jefferson a una forma più urbana, nella sua trentennale carriera Hopkins non si discostò mai più di tanto (un peccato, ché gli accenti jazz di brani come I’ll Be Gone e Shaggy Dad fanno intravvedere esaltanti possibilità che rimasero inesplorate) dal nucleo primigenio della sua musica. Play With Your Poodle, incisa nel 1947 in trio con il pianista Thunder Smith e un batterista sconosciuto, esemplifica codesto stile come nessun altro dei più di mille titoli registrati: blues elettrico caratterizzato dal timbro acre della chitarra e da peculiari accenti boogie che lo fanno rock’n’roll molti anni prima che il termine entrasse in uso.

Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.21, primavera 2006.

1 Commento

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Una risposta a “Il blues che era già rock’n’roll di Lightnin’ Hopkins

  1. Mauro

    Beh, mica tanto fesso. A leggere certe dichiarazioni (non solo di musicisti afroamericani) le case discografiche con le royalties non è che fossero proprio onestissime. Evidentemente lui aveva optato per, come si dice dalle mie parti, “pochi, maledetti e subito”. Che gigante, però, tornando a parlare di arte e non di vile pecunia!

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