Ovvero: come fu che un dopolavoro – che poi in realtà era un “prima del lavoro” – si trasformò in una cosa più seria del lavoro stesso.

Dapprincipio non c’era nessun motivo per scrivere un articolo sugli Hot Tuna, se non che Stefano Isidoro aveva delle pagine da riempire in questo “Juke Box all’idrogeno”, mi ha chiesto se avevo voglia e qualche idea al riguardo e io gli ho risposto “mah… sì… boh…”. E lui: perché non fare una cosa sugli Hot Tuna, che erano una gran bella formazione oggi sconosciuta a tutti, eccetto a qualche reduce? Mi è sembrata un’ottima ragione, benché non mi senta ancora reduce e per certo Stefano Isidoro meno di me. Allora ho tirato fuori i dischi dagli scaffali e, mentre tornavano a girare sullo stereo a forse tre lustri dall’ultima volta a parte “Quah”, che è un album per il quale ho sempre avuto un affetto speciale ma non appartiene al gruppo bensì è l’esordio in proprio di Jorma, ho cercato il nome “Hot Tuna” nell’archivio in cui ho catalogato le riviste straniere comprate dal ’78 a oggi. Sconcertato, ho scoperto di non avere in casa nemmeno un articolo sulla seconda più nota, in realtà terza ma prima, avventura in comune di Jorma Kaukonen e Jack Casady. Persino un’indagine su Internet, dove un delirio apologetico non si nega né a un cane né a un porco, ha sortito risultati deludenti. Mi sono sembrate altre due ottime ragioni per scrivere qualcosa su di loro, vendicando nel mio piccolo lo scandalo di un progetto così poco considerato. E poi ho improvvisamente realizzato che sono esattamente trentacinque anni che questa storia è cominciata, bel numero che può essere detto tondo, come gli Hot Tuna quando suonavano acustici, o spigoloso, come quando accendevano gli amplificatori. Ed eccoci qua.
“All’epoca non ero interessato al rock, a malapena tolleravo i Rolling Stones. Piuttosto, alle musiche etniche in generale e alla tradizione nordamericana in particolare.”
Così Jorma Ludwik Kaukonen Jr., sessantaquattro anni il prossimo 23 dicembre, in una rara intervista concessa per il venticinquennale degli Hot Tuna ricordava di come fu con qualche perplessità che, nella primavera 1965, accettò l’invito del cantante e chitarrista Paul Kantner a unirsi a un complesso ancora senza nome che il cantante Marty Balin aveva appena messo in piedi, con tre carneadi che si defileranno presto, con l’intento minimo quanto squisitamente commerciale di fornire una colonna sonora alla serata di inaugurazione di un club, il Matrix, acquistato in quel di San Francisco. Era proprio Jorma – originario di Washington DC ma proveniente dal Texas dove aveva spesso accompagnato una sconosciuta cantante, una certa Janis Joplin – a battezzare il neonato combo, accorciando il nome di un bluesman immaginario, tal Blind Thomas Jefferson Airplane, creato dalla sua fantasia. Non mi diffonderò troppo su una vicenda oltretutto universalmente nota, se non per raccontare come vi venne coinvolto il suo concittadino John William Casady, detto Jack e sessantenne lo scorso 13 aprile, e di come quattro anni più tardi insieme i due daranno vita agli Hot Tuna per poi, trascorsi altri tre anni, staccarsi definitivamente dall’Aeroplano che stava per farsi Astronave. Per Jorma e Jack, i Jefferson Airplane non furono il primo gruppo condiviso. Imberbi (il secondo appena quindicenne) erano stati nei Triumphs, complessino nemmeno troppo amatoriale se è vero come è vero che arrivò a pubblicare un singolo: rock’n’roll, che non era per l’appunto l’amore né dell’uno né dell’altro, cresciuti consumando i dischi dell’estesa collezione di blues di un fratello maggiore del secondo, avido collezionista. E il primo arrivava dal bluegrass. Archiviata una storia non esattamente trionfale, a dispetto dell’ottimistico nome con il quale la si era siglata, Jorma si perfezionava all’università del blues cominciando giusto nel fatidico 1959 a studiare la tecnica del fingerpicking. Frequentando l’Antioch College conosceva John Hammond, un altro bianco per caso irrimediabilmente traviato dalla musica del diavolo, e Ian Buchanan, incontro prezioso perché, non potendosi permettere le lezioni dell’idolatrato Reverendo Gary Davis, il giovanotto poteva almeno apprenderle di seconda mano da uno che ne era stato allievo. Era così che imparava tutti i brani che finiranno nel 1970 nello splendido debutto degli Hot Tuna e tuttora si cruccia di non avere avuto la presenza di spirito di dedicare quel 33 giri al maestro. Ancora in un’istituzione scolastica ma domiciliata sulla Costa opposta, la University Of Santa Clara, conosceva Paul Kantner e sarebbe stato incontro, come abbiamo visto, pure più decisivo. Nel frattempo, rimasto nell’area di Washington, l’amico Jack dalla chitarra passava al basso, diventando presto bravo a sufficienza da accompagnare Ray Charles. Suonerà sempre il basso un po’ come una solista (abilità non granché gradita dal batterista dei Jefferson, Spencer Dryden, non contento di doversi caricare sulle spalle per intero il peso della ritmica) e per questo sarà strumentista apprezzato quanto il chitarrista Jorma, fors’anche più peculiare. Ai Jefferson Airplane serviva un bassista, Kaukonen consigliava Casady, il resto è Storia.
Prosegue per altre 9.907 battute su Venerato Maestro Oppure ─ Percorsi nel rock 1994-2015. Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.76, settembre 2004. Jack Casady compie oggi settantanove anni.
Il loro primo disco l’ho letteralmente consumato e ricomprato più volte. Mentre i JA non li ascolto ormai da almeno 25-30 anni (per me l’aereoplano è invecchiato malissimo, mentre i Dead e i Quicksilver passano ancora volentieri sul giradischi) agli HT e al primo di Kaukonen torno spesso e volentieri e Quah piace persino a mia figlia piccola che ha quindici anni.. e si affaccia ora sulle nostre musiche