
È straordinario, avendo il dente avvelenato e un minimo di curiosità, quante cose è possibile scoprire usando semplicemente Google e certi strumenti giuridici a disposizione di ogni privato cittadino. Mettiamo che per una qualunque ragione (ad esempio: volete farci affari) vi serva reperire informazioni su una società, coop, srl o spa che sia. Non dovrete fare altro che rivolgervi alla camera di commercio competente e dovranno fornirvele. Il bello è che non sarà nemmeno necessario addurre una giustificazione. Voi chiedete e loro (alla camera di commercio) sono tenuti a dirvi e darvi e questo senza che la società oggetto dell’indagine ne venga avvisata. Insomma: ho scoperto che visure, bilanci e note integrative ai bilanci della Stemax erano e sono (come pure i modelli C17 che le cooperative sono tenute a compilare) nella disponibilità di chiunque ne faccia domanda. Ho pensato bene allora di procurarmeli. Perché le voci di corridoio, i pettegolezzi, le illazioni non mi bastavano più. Volevo cominciare a capire sul serio come sia possibile che un giornale che, in quanto pubblicato da una cooperativa, ha ricevuto dal ’96 a oggi svariati milioni di euro di contributi per l’editoria, versi da tempo in condizioni anche peggiori (che il momento sia difficile per tutti non è in discussione) di una concorrenza che dallo stato non ha viceversa mai percepito direttamente un centesimo. Volevo andare a verificare (una cosa è il “sentito dire”, altra il racconto-confessione di una vita selvaggia, altra ancora i conti) se all’origine di questa crisi drammatica ci fosse solo l’incapacità imprenditoriale di chi questa società ha gestito negli anni o qualcosa di peggio, o un combinato di entrambe le cose. Pensavo che mi sarebbe bastata una scorsa superficiale ai bilanci (sono riuscito a oggi ad avere quelli dal 2004 al 2011; il 2003 è largamente ricostruibile dal successivo, il 2012 non ancora disponibile), e soprattutto alle corrispondenti note, per intendere se i sospetti – miei e di altri – avessero un fondamento e meritasse approfondire. Mi è stato sufficiente in realtà leggere la cosiddetta “visura camerale storica” di Stemax – Società Cooperativa per capire che nei bilanci in questione mi sarebbe toccato immergermi.
E così ho fatto, seguendo né più né meno il metodo che seguo da sempre per preparare gli articoli più impegnativi, quelli da qualche decina di migliaia di battute. Lettura attentissima dei materiali in mio possesso accompagnata da un continuo, maniacale prendere appunti su ogni particolare possa lontanamente ipotizzarsi utile in sede di stesura di monografia. Mi ritrovo adesso con qualcosa come diciassette pagine formato A4 fittissime di note scritte a mano, zeppe di virgolettati, evidenziazioni, rimandi, confronti, conteggi, chiarimenti a me stesso medesimo (alcuni dei quali gentilmente datimi da un lettore del “Mucchio” che di mestiere fa questo: revisiona conti). Naturalmente non le userò tutte. Quando scrivo un articolo, di norma non arrivo ad adoperare più del 15%-20% degli appunti. In questa sede mi farò bastare il 5%. Per i miei scopi, abbonda. Vi ucciderei di noia facendovi smarrire nei meandri di bilanci nei quali di anno in anno voci appaiono e scompaiono, vengono dettagliate oppure no, spiegate o sottointese. Facilmente perderei io pure il filo del discorso. Voglio invece che mi seguiate e, sempre al fine di rendere il tutto il più leggibile possibile, oltre a limitare al massimo i tecnicismi darò per scontato che chiunque mi stia leggendo sia all’incirca a conoscenza delle puntate precedenti della lunga diatriba. Che abbia già letto quanto raccontai (qui) riguardo alla fine della mia quasi ventennale collaborazione con “Il Mucchio”, che abbia altresì seguito sul forum del giornale stesso, sui blog di Massimo Del Papa e Federico Guglielmi, sui loro profili Facebook e ovviamente pure sul mio (ma anche su tanti altri) le polemiche e la diaspora infinita che nel corso degli ultimi venticinque mesi (comincia tutto nell’aprile 2011, data dell’abbandono coattivo del giornale da parte del fondatore Max Stefani) hanno portato innumerevoli collaboratori storici del giornale a lasciarlo: nell’ordine, Massimo Del Papa, Riccardo Bertoncelli, il sottoscritto, Carlo Bordone, Federico Guglielmi, Giancarlo Turra, Carlo Babando, Michele Benetello, Aurelio Pasini, Alessandro Besselva Averame. A farla breve, la quasi totalità della redazione musicale della rivista musicale italiana di più lungo corso e se mi sono dimenticato di qualcuno me ne scuso. Darò per scontato nella stessa misura in cui devo presumere che chi mi legge quando scrivo di musica sappia, per dire, chi è Bob Dylan o cosa sia il reggae, che differenze intercorrano fra punk e psichedelia e che la Lola dei Kinks è un travestito. L’ABC. Se sei arrivato a leggermi fino a questo punto, credo che proseguirai. Pronto?
“Io lo faccio per la verità.” (Daniela Federico)
Non lo nasconderò: due coglioni così. E, del resto, chi non se li farebbe trascorrendo alcuni giorni con la capoccia su degli elenchi di numeri? Confesserò però di essermi anche divertito in certi momenti e che il divertimento veniva dal conoscere i protagonisti della vicenda e dal constatare come taluni vizi siano con ogni evidenza loro connaturati, come parte del DNA. Fantastico constatare ad esempio come il copia-e-incolla sia uno stile di vita che si estende persino ai resoconti delle assemblee nelle quali si dichiara (si tratta ovviamente di atti ufficiali; da qui in avanti praticamente tutto ciò che scriverò è tratto o desunto da atti ufficiali) di avere discusso i bilanci in questione. Iniziano tutte a mezzogiorno in punto, sono sempre “rappresentati in proprio o per delega numero 7 quote sulle 9 costituenti il capitale sociale” e si concludono invariabilmente alle 13.30 con un’approvazione “all’unanimità”. Avete nostalgia di “My Private Life”, la rubrica in cui Stefani mensilmente lamentava che “stiamo perdendo il gusto dell’indignazione”? Di quel vibrante parlare, come da un pulpito e puntando sempre il dito accusatorio, si coglie una chiara eco quando – leggendolo, ammetterò che non riuscivo a crederci – non una ma ben due volte (repetita iuvant, dicono quelli che sanno il latino) nelle note a corredo dell’anno 2009 si imputa una perdita di esercizio di € 30.966 a una diminuzione dei fondi erogati. Si accusa: “La riduzione è stata causata da una interpretazione arbitraria e senza fondamento giuridico effettuata dalla Presidenza del Consiglio”. Non metto becco, per quanto non mi risulti che sia stata avviata un’azione legale nei confronti della Presidenza del Consiglio medesima come si sarebbe dovuto fare se convinti delle proprie ragioni (ma sono naturalmente pronto a ogni rettifica). Avendo buona memoria ricordo però anche il titolo di un’altra, più succinta rubrica che per qualche tempo nobilitò le gloriose pagine del “Mucchio”: “La faccia come il culo”. Mi dica il gentil lettore se non gli pare adatto a descrivere chi in altri, precedenti anni (e non una volta) dallo stato ricevette invece più di quanto non si attendesse e, va da sé, non se ne crucciò. Stralcio dalle note 2004: “A seguito del conguaglio dei contributi della Presidenza del Consiglio dei Ministri degli anni precedenti per importi maggiori a quelli previsti si è registrata una plusvalenza di € 51.693”. Niente male, no? Non ci si lamenta, non si deplora, non ci si indigna nemmeno quando nel 2007 (anno d’oro, per ragioni che spiegherò più avanti) si registrano con soddisfazione “€ 18.358 per maggiori contributi per l’editoria rispetto a quanto accertato dalla società”. A caval donato d’altro canto non si guarda in bocca, ammonisce la saggezza popolare, e di cavalli nel tempo qualcuno ne ha ricevuti in dono abbastanza da farci il palio a Siena per un decennio o due.
Di quanto fosse patologica la tendenza a ricamar fiabe a uso tanto interno che esterno provvede poi a offrire clamorosa evidenza la parabola del ritorno a una cadenza di pubblicazione mensile nel 2005 dopo che per nove anni il giornale era uscito settimanalmente. Io me li ricordo bene gli accesi dibattiti interni alla redazione e fra redazione e proprietà su questo epocale passaggio. Io me lo ricordo bene come da allora Daniela Federico (amministratrice della coop sin dall’aprile ’97) si sia sempre gloriata di avere obbligato Max Stefani a chiudere la disastrosa avventura del settimanale. Quando ancora in tempi recenti illustrava a noi collaboratori come la rivista sarebbe stata altrimenti costretta alla chiusura non oltre il 2006, o massimo il 2007, diceva certamente il vero. Peccato dimenticasse un dettaglio di cui sono venuto a conoscenza solo leggendo le note a corredo del bilancio giustappunto dell’annus miriabilis (sic; anzi: sigh e pure gulp) 2005. Ossia che fu una Legge Finanziaria a determinare un cambio che, se non ci fosse stato entro il 31 dicembre 2004, avrebbe comportato il decadimento dal diritto di usufruire dei contributi per l’editoria per qualcosa come cinque anni, con una conseguente perdita di introiti pari a, malcontati, due milioni e mezzo di euro. Che bisogno aveva la Federico di raccontarci questa pur innocua balla? Dev’essere stato più forte di lei.
Peccato veniale tuttavia, quando è il momento di passare a illustrare qualche peccatuccio un tantinello più grave e per la piena comprensione di quanto mi appresto a narrare sarà opportuno che il lettore vada a riprendersi la lunga citazione da Wild Thing (Pensare selvaggio, traducono quelli che sanno l’inglese) che riportavo nel post dello scorso 23 gennaio. Quella da pagina 209. Legga, o rilegga, e tenga bene a mente. Fatto?
“Nel momento in cui c’è da fare uscire degli scheletri dagli armadi non ci poniamo nessun limite.” (sempre la Federico: dura, incorruttibile, quasi eroica)
Avvisavo in precedenza: mi concentrerò su pochissimi punti particolarmente significativi ma, più che altro, di comprensione immediata anche per chi si trovasse a passare qui per caso. Mi concentrerò su alcune spese che in nessun modo, a me pare, possono essere giustificate nel contesto di una piccola cooperativa (dalla quale, per inciso, chi per il giornale davvero lavorava veniva scientemente tenuto fuori; cooperativa di giornalisti per modo di dire e che nondimeno le elargizioni statali le riceveva in quanto tale) che pubblica una testata con vendite che negli anni sono oscillate da abissi di meno di tremila copie a vette di diecimila o più. E che a una firma oggettivamente importante come il sottoscritto in quegli stessi anni ha elargito un munifico compenso (mai adeguato all’inflazione e addirittura nel 2012 drasticamente ridotto) di € 395 mensili netti per undici mensilità annue per il lavoro per il mensile e, a seconda del periodo, € 750 oppure 900 (sempre netti) per ogni numero del supplemento “Extra”. Cifre del genere. Ma c’era chi era pagato anche parecchio meno. C’era chi non era pagato per nulla. I soldi li si scialava invece così…
Per autovetture, ad esempio. Scorrendo il bilancio 2004 mi imbatto in un’ auto in leasing del valore di € 28.896. L’anno dopo compare una BMW (l’unica di cui sia dato di sapere la marca) presa sempre in leasing per € 23.832. Nel 2007 c’è una new entry ancora, per € 14.221. Nel 2008 si spendono € 23.718 per l’ennesimo acquisto, e stavolta il pagamento è con un mutuo oppure cash, e però nel 2009 – anno in cui si registra la perdita di esercizio di cui dicevo sopra – quella vettura dai bilanci sparisce. Dove? Forse rubata? Urge sostituirla, allora, e vai con un nuovo leasing, per € 27.552. Evidentemente tutto ciò non basta (faccio presente che tutte queste auto erano in uso non genericamente ai soci, diversi dei quali possono essere definiti, in senso tecnico, dei prestanome, ma ai due proprietari veri della Stemax, dal ’96 all’aprile 2011 Max Stefani e Daniela Federico) ed entro l’esercizio 2010 viene comprato, pagandolo presumibilmente in contanti, un mezzo del valore di € 19.898. Sia chiaro: non spetta a me stabilire se queste spese si configurino o meno come distrazioni di fondi per usi personali. Partiamo anzi dal presupposto che non lo siano. Quello che domando al lettore, e di rado domanda mi parve tanto retorica, è se sia stato etico spendere così tanto per permettere a così pochi di fruire di beni così costosi che si sarebbero potuti benissimo pagare da soli, attingendo agli alquanto lauti emolumenti che generosamente concedevano a se stessi.
Le automobili naturalmente costa mantenerle: benzina, bollo, assicurazione, pneumatici, meccanico. Come ben sa chiunque ne possegga una. Giudichi dunque chi ne possiede una (io, faccendo il pubblicista e non l’editore, mai me la sono potuta permettere) se siano o meno congrue le spese iscritte a bilancio negli anni di vacche già stente 2009 e 2010 (cito questi due perché, misteriosamente, sono i soli in cui nelle infinite colonnine di numeri ne compaiono che dettagliano queste uscite): sono € 38.164, che diviso per ventiquattro mesi fa 1.600 eurelli al mese e mi sembra un po’ tanto, ma magari sbaglio. Siccome sono non solo i due bilanci più circostanziati ma pure i più significativi perché subito precedenti il disastro di un 2011 in cui il passivo quadruplicherà abbondantemente, giungendo per quel singolo anno a € 107.455, vi cito qualche altra spesa corrente (oltre alle due autovetture, ricorderete), andando praticamente random: una ristrutturazione immobiliare per € 23.639, spese telefoniche per € 12.067, rimborsi a pie’ di lista per € 26.435, abbonamenti e canoni per € 3.159 (Stefani se ne vanterà che la società gli pagava non solo il pieno ma anche l’abbonamento alla pay TV), spese di rappresentanza non meglio specificate per € 7.290. Dal bilancio 2011 (2011!!! non ancora approvato nel momento in cui la Federico lanciava, rivolgendosi con il cappello in mano ai lettori, una campagna di raccolta fondi straordinaria per salvare il giornale) emergono € 23.781 per “spese di trasferta, ristoranti e alberghi”.
Da bilanci sicuramente a norma di legge ma che, eufemisticamente, definirei criptici saltano fuori nel 2005 € 37.135 di “spese manutenzione immobili” (compaiono nel rendiconto successivo) e nel 2006 € 24.336 per software e ci si domanda se abbiano acquistato venti copie di Xpress o un programmino per pilotare il Voyager. Tornando a razzo sul 2009 e 2010, ecco un indizio che il futuro cominciava a fare paura: vengono acquistate due polizze AXA Mps e una INA Assitalia (beneficiaria la società o altri?) per complessivi € 29.000. Verranno presto rivendute, in pesante perdita. Nel 2011 per la prima e a oggi unica volta si precisa inoltre il compenso per l’amministratore: € 25.773 oltre agli oneri. Acqua fresca, direbbe qualcuno.
Tolte auto e relativi costi, potrebbero tuttavia sembrare bruscolini. Prima di passare ad altro vorrei allora dare a chi legge ancora qualche numero su cui riflettere. Ad esempio, lo strabiliante incremento datato 2007 dei costi della “produzione per servizi”, balzati da € 495.022 alla astronomica cifra di € 738.295. Sarà naturalmente soltanto una coincidenza, ma il 2007 rappresenta nella storia della Stemax una breve età particolarmente aurea a sé stante, giacché è l’anno in cui lo Stato generosamente eroga non una ma due rate di contributi (nessuno protesta). I soldi ci sono, in abbondanza, e vengono subito spesi. Posso garantire che né il sottoscritto né qualunque altro giornalista ne ebbe mai il minimo sentore. A noi i compensi non li aumentarono.
Vi vedo frementi: ma, alla buon’ora, quanto si mettevano in tasca direttore (ora ex) e amministratrice (da due anni a questa parte anche direttora)? Impossibile dirlo con certezza non avendo a disposizione i libri contabili. Posso giusto confidarvi (e se volete andate a controllare) che nel 2008 la quota relativa ai soci di costo del lavoro risulta pari a € 266.545 su complessivi 385.301. Che l’anno dopo si inizia (si fa per dire) a stringere la cinghia e la quota relativa ai soci scende a miserevoli € 160.690 su un totale di 315.954. Che nel 2010 si fa quasi la fame con € 153.494 su 233.597. Tenendo presente che i compensi a Massimo Del Papa (per un certo periodo per sua sfortuna e quasi a sua insaputa socio) erano addirittura più modesti dei miei (non avendo lui “Extra”) e che quelli di Beatrice Mele (che credo, ma questa è una mera opinione, non più che dignitosi) potrebbero e forse dovrebbero, secondo logica, essere conteggiati altrove, vi sarete fatti una vaga idea di quanto si pagavano i padroni. Ops! Volevo dire “i principali soci della cooperativa”. Vero che si tratta di cifre lorde, ma per quanto lordi fossero bei soldi erano.
Se avete letto con attenzione il grande Max Stefani, vi attenderete adesso che vi parli di immobili. E sia. Nel maggio 2009 “Il Mucchio” lascia la sua sede storica di via Lorenzo Il Magnifico e si trasferisce in quella attuale in via Antonio Silvani. La prima cosa che salta all’occhio è che è curioso che chi entra in affitto in un alloggio, o in questo caso in un ufficio, spenda (già scritto poco più su) € 23.639 per ristrutturarlo. Strano ma vero. Un po’ meno strano quando si viene ad apprendere che la Stemax questo ufficio che rimette a nuovo lo assume in locazione da due soci. Quei due soci, va da sé. Non ci sarebbe nulla di discutibile (si tratterebbe di uno scambio di favori conveniente per tutti) se, come si scrive per giustificarlo, “sulla base della ricerca di mercato effettuata il canone di locazione” risultasse effettivamente “essere inferiore di € 4.800 annui rispetto a quello di mercato”. A quanto ammonti non lo si precisa, ma lo si può dedurre con una discreta approssimazione dalla voce “godimento beni di terzi” del bilancio 2010. Sottraendo al totale di € 38.892 i canoni di leasing delle benedette auto restano un 25-26.000 euro. Facciamo per comodità di calcolo che siano 24.000, 2.000 al mese spese incluse. In cinque minuti di ricerca appena effettuata su un noto sito di annunci immobiliari ho individuato, per farvi qualche esempio, 45 metri quadrati offerti in affitto a 800 euro, 50 a 850, 67 a 1.050, 120 a 1.800. Stiamo parlando non soltanto della stessa zona di Roma (Nuovo Salario) ma di vie tutte in prossimità (una davvero a due passi, sempre sia lodato Google Maps) della sede del “Mucchio”. Sede del “Mucchio” che è di circa 50 metri quadrati. Se la ricerca di mercato che citano l’hanno pagata, sarà forse il caso che si facciano rimborsare: non credete? I due non sono più da lungi soci in Stemax ma tuttora affittano alla cooperativa questo ufficio, di cui restano proprietari. Fra l’altro: non so se qualcuno ci abbia fatto caso, ma “Il Mucchio” ha il proprio ufficio a un indirizzo e la Stemax è domiciliata, sin dall’ottobre 2001 e tuttora, a un altro. Quell’altro indirizzo risulta essere un’abitazione privata. Come mai? No, dai, non mi va di essere malizioso come probabilmente sarete voi al riguardo.
“Ho la coscienza pulita… mi sveglio la mattina e veramente sono contenta.” (sì, è sempre Daniela Federico che parla e sono tanto felice per lei)
Torno all’inizio. Alla visura leggendo la quale mi sono fatto persuaso che valesse la pena esaminare con attenzione bilanci e note. È una lettura illuminante perché offre conferma incontrovertibile di quanto era in realtà già da tempo (grazie alla confessione resa… scusate… all’autobiografia scritta dall’amico Max) di pubblico dominio: vale a dire che della cooperativa Stemax ha sempre fatto parte tanta, troppa gente che in Stemax poi non lavorava. Non vi figurano gli elenchi dei soci (ho giusto quelli degli anni 2010 e 2011, i soli messi on line da AGCOM) ma qualcosa che è quasi meglio, ossia gli elenchi dei consiglieri di amministrazione e dei cosiddetti sindaci, un livello superiore ai semplici soci. Non ci si crede alla gente in cui ci si imbatte: fidanzate, ex-fidanzate, fratelli delle fidanzate (in Stemax da sempre le fidanzate vanno forte), vecchi amici, giornalisti che però sul giornale sono stati delle meteore, fotografi che al giornale hanno raramente dato una foto, tipografi che del giornale non hanno mai stampato un numero e persino Stefani Senior, formidabile personaggio classe 1921. A minuscola riparazione figura in ogni caso anche una firma che per “Il Mucchio” fu invece effettivamente importante, quell’Andrea Scanzi oggi assai richiesto nei salotti televisivi nei quali si dibatte di grillismo. Sindaco dal 19 dicembre 2000 al 7 ottobre 2005, attualmente Scanzi è una delle colonne di un giornale, “Il Fatto Quotidiano”, da sempre parecchio critico riguardo ai contributi all’editoria. Chissà se e quanto la permanenza in Stemax lo aiutò a forgiarsi un’opinione al riguardo, sarebbe bello domandargli.
È stato sempre leggendo la visura di cui sopra che ho appreso che la Stemax il 20 settembre 2005 apriva un ufficio di rappresentanza. “Bravi!”, mi sono detto. Ecco una mossa intelligente. Certamente non si potevano permettere nemmeno con quel popò di contributi una sede a New York o Londra, ma una a Milano sì e può ben capire il lettore quanto possa risultare preziosa per un giornale di musica romano una sede milanese, tenendo conto che la discografia nazionale proprio a Milano è dislocata in massima parte. Poi ho guardato meglio. L’ufficio di rappresentanza lo avevano aperto a Montasola. Prego? Dove? Montasola, provincia di Rieti, 402 abitanti. Per avere conferma di quanto dico non vi servirà procurarvi il documento in questione. Basta che andiate su Google e scriviate di seguito “Stemax” e “Montasola”.

“Un giorno di quasi 15 anni fa, durante una delle sue passeggiate a cavallo in solitaria, Max si imbattè in un casale che dominava la bella vallata di Montasola. Colpa forse dei muri in pietra o di quel senso di pace sospesa che solo certi luoghi possono dare, decise su due piedi di acquistarlo. Un giorno di quasi 4 anni fa, ci portò Tiziana, appena conosciuta, e mentre si godevano la vista sul frutteto le disse: ‘ho comprato questa casa molti anni fa e solo ora che sei qui ho capito perché’. Fu così che decisero, sempre su due piedi, di lasciare le rispettive città, ristrutturare il casale e trasferirsi qui. Qualche giorno dopo Max le ha chiesto di sposarlo, ora hanno due adorabili gemelle di pochi mesi, Lola e Zoè, e due gatti dolcissimi, Debby e Dexter. Sono inguaribili romantici e amanti della buona compagnia.” (dal sito www.agrodolcemente.it)
Ma che dolce quadretto! Ma che tenerezza infinita! In Wild Thing Stefani la racconta con qualche svolazzo in meno – l’uomo è alquanto rustico, si sa. Non faccio copia-e-incolla perché mai vorrei che mi accusasse di usurpare la sua abilità principale. Mi limito a riassumere e perdonerete l’italiano un po’ zoppicante rispetto a quello di cotanto maestro. La mitica casa di Montasola (il “casale rock”, come è oggi conosciuto fra gli appassionati) vi compare per la prima volta a pagina 219. Curiosamente la si situa dalle parti di Poggio Mirteto ma via, son due passi, non sarà il caso di spaccare il capello e formalizzarsi per una simile, insignificante imprecisione. Si dice di un acquisto deciso su due piedi e pagato con la vendita della propria collezione di vinili. Si accenna che qualche anno dopo diverrà il primo vero “nido d’amore” per lui e la moglie. Tutto questo accade nel 1997. Nel racconto il casale non riappare che a pagina 291 e si è fatto il 2009. Scrivendo che “ovviamente la country house era rimasta quasi come l’avevo trovata dieci anni prima” il buon Max si sbaglia di due anni ma, si sa, diversamente dall’italiano la matematica non è mai stata il suo forte. Più interessante, benché da prendere con beneficio di inventario, è che scriva di piccoli lavoretti di ristrutturazione fatti nel frattempo e che pagherà il grosso del resto principalmente vendendosi casa (con dentro ancora il padre) e reperendo risorse in vari altri modi che qui non è interessante né utile dettagliare.
Oh, non ci crederete mai ma il 30 giugno proprio del 2009 la Stemax chiude il cosiddetto “ufficio di rappresentanza” a Montasola per aprirne un altro e stavolta a Roma. Accade il 1° luglio, vale a dire il giorno dopo, e questo ufficio è sito in via Cairoli. Dev’essere un’altra sorprendente combinazione che proprio allo stesso numero civico vada ad abitare Stefani, essendosi venduto l’appartamento romano e non essendo ancora finiti i lavori a Montasola. Un uomo in ogni evidenza “tutto casa e ufficio”, a dispetto della nomea di indolenza da lui stesso alimentata. A proposito di casualità: nei bilanci Stemax forse rammenterete che in un dato anno… aspettate… fatemi controllare… ecco, nel 2005… compaiono “spese manutenzione immobili” per € 37.135. Chi lo frequentava esclude che in quell’anno siano stati fatti lavori, e in special modo lavori così importanti, nell’ufficio in via Lorenzo il Magnifico e io allora non so proprio cosa pensarne. Suggerimenti?
Sia come sia: una sciocchezza, queste “spese manutenzione immobili”, a fronte di “immobilizzazioni immateriali” per complessivi € 102.898 registrate nel bilancio 2004 e già in calo (ammortamento?) rispetto agli € 128.833 risultanti dall’esercizio precedente.
Oggi Max Stefani vive proprio a Montasola, stessa via e numero civico del fu ufficio di rappresentanza Stemax, in questo favoloso casale certamente interamente ristrutturato con soldi suoi e che in uno stupendo slancio d’amore ha pensato bene di intestare alla moglie. Una vergogna che qualcuno osi insinuare che l’abbia fatto per sottrarsi, in quanto nullatenente, a certe querele che lo stanno inseguendo e una sola delle quali (lo so per certo) comporta una richiesta di danni quantificati in € 100.000. A Montasola, stessa via e numero civico del fu ufficio di rappresentanza Stemax, ha oggi sede legale l’impresa individuale della moglie, la cui attività (ve l’ho già detto che Google è fantastico?) consiste nella “coltivazione di ortaggi (inclusi i meloni) in foglia, a fusto, a frutto, in radici, bulbi e tuberi in piena aria (escluse barbietola da zucchero e patate)”. Lo tenga presente il prossimo che vilmente oserà accostare al nome di Max Stefani, oggi direttore di “Outsider”, l’espressione “braccia rubate all’agricoltura”.
Allora: tutto bene quel che finisce bene? Massì! Del come l’amico Macse venne accompagnato nella primavera 2011 alla porta del giornale fondato da lui medesimo nel 1977, con un accordo di liquidazione in 117 comode rate, vi racconterò un’altra volta, o forse no. Magari non ce ne sarà più bisogno. Mi sentirei però un verme se non informassi il lettore della splendida opportunità che gli si offre. Proprio a Montasola, ancora stessa via e numero civico del fu ufficio di rappresentanza Stemax, è oggi in vendita ad appena 165.000 euro un villino di 100 metri quadrati con un ettaro e mezzo di terreno. Sia chiaro che non è il casale rock, che è immobile di ben altre dimensioni e valore. Forse ne è una dipendenza, forse trattasi di altra proprietà. Al posto vostro (io purtroppo ho in banca due spiccioli e già un mutuo da pagare) non mi farei sfuggire l’occasione di andare ad abitare in un posto tanto ameno e soprattutto con come vicino di casa un’autentica leggenda del giornalismo musicale nostrano. Pensate alle serate che potrete trascorrere insieme lietamente dibattendo della discografia (solo quella blues, mi raccomando) dei Fleetwood Mac.
Però affrettatevi. Ho come l’impressione che per qualcuno del doman non vi sia certezza.
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