
“Ho visto la freccia in cima alla porta./Diceva: ‘Questa terra è condannata,/da New Orleans a Gerusalemme’./Ho attraversato l’East Texas/dove molti martiri sono caduti/e so che nessuno canta il blues/come Blind Willie McTell./Ho sentito il verso della civetta risuonare/mentre smontavano le tende,/le stelle sopra gli alberi spogli/suo unico pubblico./Le ragazze zingare che portano il carbone/sanno bene come pavoneggiarsi,/ma nessuno canta il blues/come Blind Willie McTell.”
Per bizzarra coincidenza è un 5 maggio il giorno in cui Bob Dylan registra Blind Willie McTell, o meglio la versione ─ ne esiste una precedente, del 18 aprile sempre del 1983 ─ di cui ci ha fatto dono solo otto anni più tardi includendola nella prima uscita delle “Bootleg Series”. È alle prese con “Infidels”, il disco che segnerà la sua rinascita dopo l’era fosca e ottusa di un’altra rinascita, quella cristiana, ed è incerto sul valore di un brano a proposito del quale dichiarerà che “non conosco nessuno che faccia questo tipo di canzoni” e, sant’iddio, sta parlando il signore che ha firmato una bazzecola come Like A Rolling Stone e rivoluzionato la storia della canzone popolare quel paio di volte. Talmente incerto ─ “non è incisa bene” e “non si è sviluppata come avrebbe dovuto” altre due inverosimili scuse ─ che in ultima istanza deciderà di escluderla dall’album, preferendole il comizio sionista di Neighborhood Bully: scelta fra le più autolesioniste in una vicenda che in materia di autolesionismo nulla si è fatta mancare. Ma il nastro passa di mano in mano (ne arriva una copia a Steve Wynn e sarà per tramite dei Dream Syndicate, artefici di una versione di elettrico, apocalittico fulgore, che avrò modo di ascoltarlo per la prima volta) e cresce la sua fama. Quando vedrà la luce ufficialmente al mondo toccherà interrogarsi sulla sanità mentale dell’autore, incapace di riconoscere la grandezza di una canzone come non ne componeva (né ne ha più composte) dai mezzi ’70 di “Blood On The Tracks”, se non dai mezzi ’60 di “Blonde On Blonde”. Però in una cosa aveva ragione: nessuno scrive canzoni così. Siamo al sovrumano, nell’afflato come nella qualità, e mi sia concesso citare al riguardo quel finissimo esegeta di Alessandro Carrera quando annota che Blind Willie McTell è “una conversazione desolata fra Dylan e lo spirito della terra, condotto sull’orlo della fine del tempo, davanti alla concreta e terrificante possibilità che anche l’immortalità stia per morire”. E con il bardo di Duluth la faccio finita qui, o quasi.
“Ho guardato le grandi piantagioni bruciare,/sentito le fruste schioccare,/aspirato il dolce profumo delle magnolie in fiore/e ho visto i fantasmi delle navi negriere./Posso ancora ascoltare i lamenti delle tribù,/posso ancora ascoltare la campana del padrone/e nessuno canta il blues/ come Blind Willie McTell.”
Dicevo di una coincidenza: fosse stato ancora vivo, quel 5 maggio il bluesman georgiano avrebbe festeggiato l’ottantacinquesimo compleanno, oppure l’ottantaduesimo visto che sull’anno di nascita ─ 1898 o 1901 ─ le fonti sono discordi. Non l’unico dettaglio rimasto oscuro, avrete inteso se con il blues avete frequentazioni appena più che occasionali. Nemmeno si sa in verità quale fosse il suo vero nome. Per Carrera era nato Willy Samuel McTier, ma a prestar fede a Greg Ward sulla sua pietra tombale sta scritto “Eddie McTier”. Né è chiaro se fosse nato cieco o lo sia divenuto intorno ai vent’anni. Inoltre: confusi i resoconti intorno alle circostanze di una morte che lo colse ─ il 19 agosto 1959, pare ─ a tal punto dimenticato che solamente alcuni mesi dopo la notizia trapelava fra gli appassionati. Usciva un 33 giri su Bluesville, “Last Session”, quando mai in vita Blind Willie McTell aveva avuto la soddisfazione di avere un suo LP nei negozi. Presto il blues revival avrebbe regalato fama e denaro ai coetanei sopravvissutigli e fra costoro a diversi a lui inferiori. E nel 1971 la Allman Brothers Band avrebbe posto Statesboro Blues a incipit del classico e vendutissimo “At Fillmore East”. Ma fatemici arrivare e innanzitutto dicendovi perché sono qui a parlarvi di Willie il Cieco. È in circolazione dalla scorsa estate un cofanetto su JSP, “The Classic Years 1927-1940”. È economico, eccellentemente annotato, suona bene quanto si può pretendere da incisioni così vetuste. Ed è una delle più monumentali raccolte di blues, non solo pre-bellico, che siano mai state pubblicate.
Prosegue per altre 6.789 battute su Super Bad! – Storie di soul, blues, jazz e hip hop. Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.67, dicembre 2003. L’uomo noto con il nome d’arte di Blind Willie McTell nasceva il 5 maggio 1898. Il 5 maggio 1983 Bob Dylan registrava, con l’idea di includerlo nell’album “Infidels”, un omonimo brano dedicato al grande bluesman. Fino all’uscita nel marzo 1991 nel cofanetto “The Bootleg Series Volumes 1-3 (Rare & Unreleased) 1961-1991”, che lo contiene, il pezzo resterà invece ufficialmente inedito.