Confessin’ The Jazz – Joni Mitchell dopo “Blue”

Una delle più grandi storie di successo negli annali dello showbiz comincia un imprecisato giorno del 1971, quando un allora ventottenne David Geffen tenta invano di convincere Ahmet Ertegun a mettere sotto contratto per la Atlantic il ventiduenne Jackson Browne. “Sfonderà, ci farai un sacco di soldi”, si accalora, e resta spiazzato quando Ertegun gli replica ineffabile di essere ricco a sufficienza. Leggendaria figura di discografico dal fiuto formidabile con la propensione però a far prevalere l’amore per la musica su qualunque considerazione di ordine commerciale, non è che quanto ha ascoltato non gli sia piaciuto. Solo che ritiene che un così limpido talento potrebbe essere promosso meglio da un’etichetta dedita specificamente a quel tipo di materiali. Di Geffen, che nonostante la verde età vanta un cv impressionante, manager di Laura Nyro e CS&N fra il resto, ha molta stima. “Perché non ce li fai tu un sacco di soldi? Fonda un’etichetta.” Il giovanotto non ci penserà su più di tanto. La Asylum (nome programmatico per chi per i suoi artisti intendeva creare una casa che fosse innanzitutto accogliente) entro fine anno avrà già pubblicato un paio di LP e che si badasse alla qualità più che al fatturato è testimonianza inequivocabile che a firmarli erano David Blue e Judee Sill. Jackson Browne dovrà aspettare il gennaio dell’anno dopo, alla lunga ripagherà ampissimamente la fiducia ma prima di lui saranno gli Eagles (messisi insieme su istigazione proprio di Geffen) a fare scampanellare a festa i registratori di cassa. Loro e Joni Mitchell. Il nostro uomo ha sempre dichiarato che fondò sì la Asylum per Browne e però soprattutto con l’intenzione di eleggerne a vessillifere la Nyro e (scippandola alla Reprise) Joni Mitchell. Sfortunatamente (la dice la delusione più cocente della sua vita) la prima si defilerà. La seconda no.

Nel momento in cui stringe con il di poco più anziano (nove mesi) David un sodalizio che sarà ventennale la stella della Mitchell brilla da un paio di anni altissima nel firmamento del cantautorato nordamericano e diffondendo una luce tutta sua, inconfondibile. Dopo il mezzo inciampo di un esordio, “Song To A Seagull” (marzo 1968), apparentemente acerbo quando in realtà Joni già aveva scritto una manciata di classici distribuendoli a Judy Collins come a Dave Van Ronk, a Tom Rush e ai Fairport Convention e per di più involontariamente danneggiato dalla produzione dell’amico e mentore David Crosby, ha aggiustato il tiro pur rimanendo in un ambito di folk austero (in scaletta persino un pezzo a cappella) con il nettamente più solido “Clouds” (maggio 1969) e con “Ladies Of The Canyon” (aprile 1970) ha svoltato pop pur continuando ad affidarsi a una strumentazione acustica, perlopiù accompagnandosi da sola, alla chitarra o al piano. Primo suo capolavoro e pietra d’angolo del canone che sarà detto “confessionale”, il disco si congeda infilando una via l’altra Big Yellow Taxi, una hit a 45 giri, l’inno generazionale Woodstock e The Circle Game, che nell’intero catalogo dell’artista (canadese di nascita, californiana di adozione) resterà l’articolo di più deliziosa, epidermica cantabilità. Sistemata altissima l’asticella, con “Blue” (giugno 1971) l’ha scavalcata in prodigiosa scioltezza non solo senza nulla concedere in orecchiabilità ma anzi vergando spartiti più sfuggenti a supporto di testi come non mai a cuore aperto, sanguinante spesso. Critica in visibilio ─ e ci sta, e ci mancherebbe ─, ciò che stupisce in questa storia raccontandola oggi è che “Blue” raddoppiava gli incassi del ben più accessibile predecessore, andando al numero 15 negli Stati Uniti, al 3 in Gran Bretagna. Erano davvero altri tempi. O anche no: la ristampa, rimasterizzata ma senza bonus, che nel 2021 ne celebrava il cinquantennale nella settimana dell’uscita risulterà il CD più venduto su Amazon e l’album più scaricato su iTunes.

Vuoi perché si tratta di un’edizione limitata, vuoi perché non è esattamente economico (aspettatevi di pagarlo fra i 170 e i 180 euro, ossia fra i 34 e i 36 euro a disco), non si è prodotto in un’analoga benché analogica performance il cofanetto “The Asylum Albums (1972-1975)”, edito qualche mese fa dalla Rhino e contenente (sicché c’è da aspettarsi un secondo volume dedicato al quadriennio ’76-’79) esattamente metà di quanto Joni Mitchell pubblicò per l’etichetta, vale a dire tre lavori in studio e un doppio live. Se li si potesse acquistare separatamente quest’ultimo sarebbe soltanto per i cultori di più stretta osservanza desiderosi di sostituirlo o affiancarlo all’usurata copia d’epoca. Illo tempore un campione al botteghino (nella classifica di “Billboard” saliva fino al secondo posto), “Miles Of Aisles” (novembre 1974; registrato fra il marzo e l’agosto precedenti) è invecchiato così così, appesantito dagli scambi con l’adorante platea e con i pur fenomenali musicisti che vi affiancano la titolare che si limitano all’elegante compitino, laddove ben superiore pathos evidenziano i brani in cui costei ne fa a meno. Non mostrano al contrario manco una ruga “For The Roses” (novembre 1972), “Court And Spark” (gennaio 1974) e “The Hissing Of Summer Lawns” (novembre 1975). Impossibile una replica di “Blue”, in luogo di imboccare la via più facile per consolidare la propria fama tornando alla vivacità e relativa linearità melodica di “Ladies Of The Canyon”, o in alternativa fare qualche passo verso il rock (la coda di Blonde In The Bleachers mero divertissement), la Mitchell nel debutto per Geffen prendeva piuttosto a flirtare con il jazz. Moderatamente e concedendo graziosamente all’etichetta il singolo che le era stato chiesto con una spumeggiante You Turn Me On, I’m A Radio, l’ex-fidanzato Graham Nash a soffiare alla Dylan in un’armonica. La svolta si perfezionerà con il disco dopo e come per “Blue” lascia stupefatti che anche “Court And Spark”, opera assolutamente incompromissoria al netto di una spumeggiante Help Me, di una Car On The Hill che è quasi una seconda Woodstock e del rock’n’roll simil-Springsteen Raised On A Robbery, vendette assai: un numero 2 USA, addirittura. Doppio platino, certifica la Recording Industry Association Of America. Sofisticatissimo e parimenti ma diversamente stupendo “The Hissing Of Summer Lawns” sarà “solo” oro e un numero 4: comunque da non crederci, riascoltandolo.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.451, marzo 2023.

1 Commento

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Una risposta a “Confessin’ The Jazz – Joni Mitchell dopo “Blue”

  1. Rusty

    Avessi una macchina del tempo, un giretto nella California del 1970 lo farei. Qualche club dove ascoltare buona musica si trovava.

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