Settantanove anni il prossimo 20 marzo, Lee Scratch Perry ancora gira il mondo facendo concerti e si dà il caso che giusto in questi giorni sia in Italia (ieri era a Lecce, stasera sarà a Torino). Mi è parsa una buona scusa per ripescare un breve articolo che gli dedicai nel 2005. Uno moooooooolto più lungo che scrissi per un “Blow Up” ai primi passi è da parte fra le cose che prima o poi recupererò in volume.

È una delle definizioni migliori ch’io abbia mai letto di Perry. In uno dei lunghi saggi che, con dettagliati commenti a ciascuna delle ottantatré tracce che raduna in quattro CD, sfilano nelle quarantotto pagine di un libretto anche iconograficamente da urlo (sempre discutibili per come si rivendono a oltranza il ricco catalogo, alla Trojan hanno finalmente imparato a presentarlo perlomeno come si deve), Lol Bell-Brown così inquadra il genio per antonomasia della battuta in levare: “Una sorta di Syd Barrett dei Caraibi, Sun Ra, George Clinton e Johnny Rotten in una persona sola, uno Gnostico spassoso e deliziosamente fumato”. Diverse pagine prima Jeremy Collingwood – addirittura tre gli esperti, essendo il terzo Chris Lane, chiamati a organizzare e commentare il box nuovo di pacca “I Am The Upsetter: The Story Of The Lee Scratch Perry Golden Years” – in maniera meno pittoresca così lo inquadra: “un originale, un autentico innovatore”. Perché sarà pure vero che, checché ne dica il diretto interessato, Lee Perry non ha inventato il reggae, ma People Funny Boy resta una delle primissime canzoni cui l’etichetta possa essere applicata. E se non fu sicuramente lui a scoprire Bob Marley e i Wailers (quandomai! avevano già quei trenta singoli in discografia) altrettanto per certo fu il primo che li valorizzò adeguatamente (vedi pagine delle recensioni in questo stesso numero). Ancora: una millanteria (una delle mille di un uomo che prima di tirar su i leggendari Black Ark scriveva nei crediti dei suoi dischi di averli registrati in uno studio che non esisteva) quella che vuole che “Blackboard Jungle” sia il primo album di dub (quando lo stesso Perry qualche mese prima aveva dato alle stampe “Cloak & Dagger”), nondimeno è indiscutibile che del dub il nostro uomo sia stato fra gli inventori e i massimi declinatori. Gli possono essere attribuiti anche alcuni dei primi esempi di “campionamento” e fanno fede in questo cofanetto, per dire, l’ilare e lunare Cow Thief Skank, con muggiti e tre ritmi già usati rimontati a farne un quarto nuovo, e una Kojak con TV in sottofondo.
A proposito di riciclaggio, ecologica usanza che l’industria discografica giamaicana ha elevato sin dai primordi ad arte accostandola a un’altra pratica, quella del furto “creativo”: un campionissimo “Scratch” e in “I Am The Upsetter” ne troverete prove a bizzeffe, da basi che fanno capolino più volte (già sentita Back Biter? certo, è People Funny Boy) a squisite appropriazioni indebite. Una Clint Eastwood ricalcata su Yakety Yak dei Coasters, una Medical Operation che echeggia Sophisticated Sissy dei Meters, una Rebel Train che è la giamaicanizzazione di Sound Of Philadelphia di MSFB, Woman Gotta Have Love che è The Poet di Bobby Womack e così via. Un… ladro? Un genio (Oscar Wilde insegna) che, non lontano dai settant’anni, si gode dal buon ritiro svizzero la reverenza del mondo e, si spera, qualche soldo, visto che l’enorme repertorio (fra dischi in proprio e produzioni per altri, c’è chi ha calcolato nella stupefacente cifra di millecinquecento uscite il suo catalogo complessivo in vinile) da un decennio in qua è stato riciclato a iosa.
Insomma: se siete curiosi e di lui in casa avete poco, quasi niente, magari giusto quel capolavoro tardo (1987) che è “Time Boom X De Devil Dead”, realizzato in scontrosa collaborazione con il discepolo Adrian Sherwood e da noi inserito fra i cinquecento dischi fondamentali di “Extra”, siete nei guai e ve lo dice uno che, prima di cominciare a ricevere in omaggio una marea di CD del Nostro (favolosa la serie di quattro doppi “Complete UK Upsetter Singles Collection”), si era comprato alcune decine di album in vinile e da lungi di questa collezione ha perso il controllo, fra titoli che ritornano e altri che nonostante tutto seguitano a mancare. Ma – ehi! – stiamo parlando di uno che la generazione che non voleva avere idoli, quella del punk, idolatrò: per Lydon un Dio e i Clash lo vollero a tutti i costi per Complete Control. Di uno che anche i Talking Heads e Paul McCartney avrebbero voluto come produttore, ma loro non ci riuscirono. Di uno cui i Beastie Boys dedicarono un numero monografico della fanza “Grand Royal”. “Time Boom” non basta e allora, come approccio per il principiante poco meno che assoluto, “I Am The Upsetter” è quasi l’ideale. Partenza con la canzone omonima, un classico del rocksteady, mordace attacco a Coxsone Dodd, il primo ma non l’ultimo dei datori di lavoro di Perry a venire spernacchiati, e approdo – cinque ore dopo – con le impossibili dilatazioni dub nutrite a funk e jazz di Huzza Hana. Equilibrato assemblaggio cronologico di brani storici (eccola lì People Funny Boy e a seguire i mitici strumentali di ispirazione western, l’apparizione alla ribalta di U-Roy, qualcosa con i Wailers, i ricalchi soul, i primi esperimenti dub e così via) e imperdibili rarità, è appunto “quasi” l’ideale. Unitegli il triplo Island “Arkology” (altra delizia illustratavi in “Extra”) e potete accontentarvi. Per ora.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.611, giugno 2005.
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