Quel che si dice partire con il vento in poppa, sebbene dopo essere rimasti alla fonda più dell’usuale: ingaggiati dalla Elektra nel 1996 (si erano formati nel ’92) su consiglio di quel Re Mida del pop-rock di Ric Ocasek (ovvio che da quelle parti gli dessero ancora ascolto, dopo tutti i soldi fatti guadagnare loro con i Cars) e da lui guidati in studio, i newyorkesi Nada Surf vedevano un singolo tratto dall’album “High/Low” spopolare sulle radio e soprattutto, forte di un azzeccato video, su MTV. Il titolo era d’altronde beneaugurante: Popular. Prima ancora di potere sdegnare tale canzone come i Radiohead avanti post-rock sdegnavano Creep, si trovavano però in mezzo a una strada, avendo reagito male ai rimproveri di una casa discografica che non rintracciava brani al pari immediati nel programma del successivo “The Proximity Effect”. Sarebbe potuta essere la fine per loro, e d’altro canto la strada per l’inferno dell’anonimato è lastricata di isolati dischi d’oro e platino, ma non si arrendevano, testardi ed entusiasti, e dopo un lungo stop venivano premiati da un contratto EMI. Tuttavia esauritosi con un unico lavoro in studio e un “Live In Brussels” che è il loro disco da avere se se ne vuole avere uno: lì il bignamino perfetto di un catalogo e un suono con la freschezza del beat, l’energia del punk, i vezzi romantici che furono di tanta new wave e un’eccellente sensibilità pop. Incanalati da allora in un alveo indie per quanto di lusso viste le dimensioni della City Slang, Matthew Caws e sodali hanno seguitato a centellinare album di pregio, l’ultimo nel 2010 ed era il peculiare “If I Had Hi-Fi”, titolo genialmente palindromo e in scaletta una dozzina di cover sorprendenti: giacché dai Nada Surf te lo puoi anche aspettare che rileggano i Go-Betweens o Dwight Twilley, ma che si approprino dei Depeche Mode, di Kate Bush o dei Moody Blues proprio no. Ecco, se qualche dubbio si poteva nutrire a priori su “The Stars Are Indifferent To Astronomy” (altro titolo fantastico) veniva dal fatto che erano a questo punto quattro anni che i Nostri non pubblicavano una collezione di brani autografi. Chi poteva escludere che si fossero nel frattempo un po’ arrugginiti?
Bastano pochi secondi, l’attacco a passo di corsa e a cavallo di un riff stentoreo di Clear Eye Clouded Mind, a spazzar via ogni pronostico funesto. Da lì alla fine, una scarsa quarantina di minuti dopo, è un tripudio di melodie insidiose e ritornelli a presa rapida, chitarre scintillanti e ritmi dritti nella migliore tradizione del power pop. Waiting For Something è il pezzo che in un certo tipo di radio potrebbe riportare in auge i Newyorkesi (per quanto pure The Moon Is Calling…), le ballate Jules And Jim (da Teenage Fanclub al top) e Let The Fight Do The Fighting i due che si staccano dalla foga del resto. A “Pitchfork” il disco non è piaciuto. Dicono che non sono più i Nada Surf di una volta. Be’, nemmeno “Pitchfork” è più quello di una volta.