Lullaby (extended mix). Close To Me (closer mix). Fascination Street (extended mix). The Walk (everything mix). Lovesong (extended mix). A Forest (tree mix). Pictures Of You (extended dub mix). Hot Hot Hot!!! (extended mix). Why Can’t I Be You? (extended mix). The Caterpillar (flicker mix). Inbetween Days (shiver mix). Never Enough (big mix).
Fiction, novembre 1990 (album doppio; la versione su CD è singola e non comprende Why Can’t I Be You? (extended mix)) – Remix di: François Kevorkian, Bryan “Chuck” New, Paul Oakenfold, William Orbit, Chris Parry, Mark Saunders, Robert Smith, Ron St. Germain – Produttori: David M. Allen, Robert Smith, Mark Saunders.
Dopo la dolente riflessività di “Disintegration”, cosa di meglio per cogliere come di consueto in contropiede (prevedibile a lungo andare l’imprevedibilità dei Cure) fans, radio, giornalisti che un album destinato alle discoteche? Pubblicato oltretutto, con perfetto tempismo, nel pieno dell’infuriare del ciclone Madchester, con gruppi come Stone Roses e Happy Mondays in cima alle classifiche e con la voga di unire rock e dance al suo apice. I Cure sempre fuori dalle mode che a esse si adeguano sono, nel momento in cui seguono la tendenza generale, in controtendenza rispetto alla loro storia che li ha sempre visti in controtendenza (ci state ancora seguendo?).
Tanto per aggiungere sale (e pepe) alla situazione, mentre “Mixed Up” raggiungeva i negozi Robert Smith concedeva una serie di interviste nelle quali sparava ad alzo zero sulla scena di Manchester, sul connubio rock/dance e sulla disco music che – affermava – “ho sempre odiato”. E allora che senso ha questo LP che affida alcuni classici del gruppo all’estro remiscelante di autentici santoni del suono da discoteca degli anni ’90 come François Kevorkian, Paul Oakenfold e William Orbit? È una provocazione? Un po’. Un’operazione riuscita o un fallimento? L’una e l’altra cosa, un po’. Come qualsiasi dizionario inglese-italiano ci informa, “mixed up” vuol dire “confuso” e tale è appunto questo lavoro che – sarà il caso di chiarirlo – nacque senza premeditazione. Messo sotto torchio da “Spin”, il leader dei Cure a suo tempo dichiarò: “Non si era partiti con l’idea di fare un album dance. In principio l’intenzione era semplicemente quella di rimettere in circolazione materiale uscito originariamente a 45 giri e che non si trova più se non sul mercato dei collezionisti e a prezzi assurdi. Così, per renderlo accessibile ai nuovi fans e visto che avevamo ancora i master, ho pensato che sarebbe stato cosa saggia ristamparlo. Poi si è affacciata l’idea di remixare i pezzi per dare loro un suono più attuale. Da cosa è nata cosa… ed eccoci qua”.
Eccoci qua dunque, a dire di una raccolta antologica (parte dei remix in essa contenuti aveva già visto la luce su vari mix e mini-CD) che alterna discrete intuizioni a riletture che nulla aggiungono agli originali (quindi inutili, più che brutte) e trova ragione di esistere nell’unico remix affidato alle mani magiche di Paul Oakenfold e nel solo inedito in programma. L’inedito si chiama Never Enough ed è un ispiratissimo omaggio a Jimi Hendrix – i modelli di riferimento sono Purple Haze e Crosstown Traffic – sorprendente solo per chi, di memoria corta, non ricordi che Purple Haze fu nelle scalette concertistiche dei giovani Cure per un paio di anni almeno. Il remix curato da Oakenfold è quello di Close To Me. Il geniale produttore vi aggiunge una scansione ritmica hip hop, accentua la presenza dell’organo e inventa intarsi fiatistici stupefacenti: quando verso la fine tromba e sax si scambiano linee prossime al dixie scappa quasi da applaudire.
Niente di così eccitante si ascolta nell’altra decina di remix sottoposti alla nostra attenzione. Piacciono la nuova versione di A Forest, più nervosa, aggressiva, veloce, e la Inbetween Days resa tutto ritmo da un William Orbit dal quale ci si sarebbe però attesi più coraggio. L’ombra di electro che si allunga sull’inizio di Fascination Street fa appena in tempo a intrigare che già è sparita. The Walk e Hot Hot Hot!!!, già molto danzerine in originale, nulla acquisiscono in ballabilità da riverniciature pressoché invisibili. L’incedere funky di Lullaby è un pochino accentuato, ma non si fanno rivoluzioni nemmeno da quelle parti.
“Mixed Up” resta in mezzo al guado. Non osa giocare la carta della radicalità e in un campionato, quello dei remix, dove solo la vittoria conta si accontenta di pareggiare.
Pubblicato per la prima volta, in forma diversa, in Avventure immaginarie, Giunti, 1996.