D’accordo che la contrazione del mercato discografico continua e dunque, a parità di unità vendute, un album che esce oggi può salire parecchio più in alto in classifica che non venti, quindici o anche solo dieci anni fa. D’accordo che il pubblico di Neil Young è numeroso, e affezionato, e sempre affamato di novità, e il Canadese nel 2013 lo ha tenuto a digiuno fin quasi sotto Natale dopo che l’anno prima di collezioni di inediti ne aveva dato alle stampe due (coerentemente con una produzione storicamente dai dislivelli qualitativi assurdi: una terribile, “Americana”, e l’altra magnifica, “Psychedelic Pill”). Nondimeno che il suo ennesimo live, il tredicesimo (!) in tutto nonché sesto in ordine di uscita nella collana “Archives”, abbia scalato la graduatoria di “Billboard” fino al ventottesimo posto lascia strabiliati. A maggior ragione considerando che raccoglie nastri di oltre quattro decenni fa. Tanto di più perché a uno sguardo superficiale potrebbe parere un doppione – al di là delle canzoni in comune che sono ben sette, per via dell’analogo formato del concerto acustico in solitario – di quel “Live At Massey Hall 1971” che nel 2007 era addirittura un numero sei USA e primo in Canada. Ma le cose non sono come sembrano, nonostante poche settimane separino le registrazioni originali, quelle contenute nel “Live At The Cellar Door” provenienti da sei spettacoli datati 30 novembre-2 dicembre ’70, quelle del “Massey” del successivo 19 gennaio: poche settimane, ma bastanti a scavare un solco, siccome da un artista intento principalmente a promuovere il fresco di stampa “After The Gold Rush”, facendo nel contempo i conti con il relativamente smilzo catalogo precedente, si passa a uno tutto proiettato su ciò che sarà ma che bisognerà aspettare un po’ per ascoltare: “Harvest”. E poi a me pare sia diversa (c’entreranno naturalmente le differenti dimensioni dei luoghi ove si tenevano i concerti) anche l’atmosfera: più intima e rilassata in questo nuovo disco però più vecchio del vecchio. Che non si possa chiedere a un cavallo pazzo di seguire l’ordine cronologico in questo affascinante svuotamento di cassetti lo si era inteso da un po’. Ce ne si è fatta una ragione.
Un’altra valutazione di primo acchito che, non appena ci si immerge nel “Cellar Door”, cambia: disco da consigliare eventualmente soltanto ai completisti del suo titolare, ammesso esista gente che sul serio conserva in casa tutto il Neil Young ufficiale, dall’imprescindibile all’osceno (ché se possiedi la trilogia dell’Orrore “Re-Ac-Tor” / “Trans” / “Everybody’s Rockin” a non comprarti questo saresti un bel demente). Non è così. Basta averne una manciata di album del Nostro, giusto i più classici (e dunque… be’… quei dodici o quindici), perché questo live diventi, se non indispensabile, molto più che un mero sfizio. Perché questo Neil Young qui è in grado tanto di intrattenere l’ascoltatore relativamente casuale, offrendogli letture squisite di canzoni che probabilmente parvero enormi già all’uscita e che il trascorrere del tempo ha sanzionato come capolavori, che di stupire l’esegeta. Se quegli sarà subito catturato da un trittico iniziale tutto da “After The Gold Rush” – Tell Me Why, Only Love Can Break Your Heart e la traccia omonima (più avanti arriveranno Birds e Don’t Let It Bring You Down) – e apprezzerà magari (facendo mente locale: sorpreso) una Old Man di un tredici mesi in anticipo su “Harvest”, questi godrà di due belle riprese dei Buffalo Springfield – Expecting To Fly e Flying On The Ground Is Wrong – ma soprattutto sobbalzerà a un’inaudita Cinnamon Girl: “Era la prima volta che la suonavo al piano”, ci informa un Neil allora davvero Young e potrò sbagliarmi ma non se ne ricorda una seconda. Laddove a non far strabuzzare… orecchie per la presenza in una scaletta di tredici titoli di una Bad Fog Of Loneliness destinata a restare inedita in studio per trentanove anni e di una See The Sky About To Rain che verrà recuperata solamente su “On The Beach” è giusto che entrambe figuravano pure sul “Massey Hall”.
Al di là di ogni ragioneria spicciola: un concerto coi fiocchi e una delle migliori istantanee di sempre del Neil Young cantautore. Per il rocker, rivolgersi altrove.
wow, molto molto interessante… avevo snobbato questo disco come l’ennesimo live del mio eroe, ma mi fai ricredere… in effetti questa “cinnamon girl” al piano è veramente una sorpresa. e non sapevo che questi dischi d’archivio stessero avendo un così grande successo. be’ quante buone notizie!
“I caught you knockin’ at my Cellar Door, I love you, baby, can I have some more. Ooh, ooh, the damage done”.
Chissà se c’è un nesso… Caro, vecchio, struggente Neil…
Ci si vede a Barolo il 21 luglio, allora.