La chioma è tuttora leonina e quanto alla voce fa di necessità virtù come meglio non potrebbe. Va da sé che se i settanta incombono non potrai ruggire come al tempo in cui di anni ne avevi venti, trenta. Dovrai imparare a dosare le residue risorse ed ecco, in tal senso Robert Plant oggi è un cantante migliore di quando nei cieli del rock nessuno volava più alto dello Zeppelin. Dopo di che, ciò conterebbe poco non lo soccorressero in questa terza età che è prodigiosa seconda giovinezza una penna ispiratissima e un gusto impeccabile nella scelta dei collaboratori come dei suoni, delle influenze. Seconda giovinezza ormai considerevolmente più lunga della prima, siccome principiava nel ’94 con il rinnovarsi del sodalizio con Jimmy Page in “No Quarter”, laddove si evocava un passato straordinariamente ingombrante solo per farci pace e – definitivamente (le successive occasionali rimpatriate parentesi a ragione di ciò gioiose e non patetiche) – andare oltre. Con come spartiacque quel voluminoso live, “Walking Into Clarksdale” e un “Dreamland” per più di metà di cover (e se andate a vedere che cover sono scoprirete che le traiettorie successive sono lì anticipate pressoché per intero), non potrebbe darsi cesura più clamorosa fra il Robert Plant solista del XX secolo e quello del XXI. Pur avendo il merito non da poco di provare a scansare da subito le trappole della nostalgia, il primo suonava vecchio già allora, fra hard bombastico e new wave orecchiata male. Quello attuale è senza tempo.
Avevate amato “Lullaby And… The Ceaseless Roar”? “Carry Fire” ne ripropone le suggestioni giocando fra un blues arcaico e un folk d’Arcadia, fra un rock’n’roll ridotto al suo battito primevo e un’etno-psichedelia parimenti minimalista. Senza mai evocare un rock da grandi arene, o forse giusto nel malevolo heavy blues – il Nostro in duetto con Chrissie Hynde – Bluebirds Over The Mountain, unica cover in scaletta e paradossalmente, a), pure nel repertorio dei Beach Boys e, b), di un oscuro interprete rockabilly, Ersel Hickey. Disco di gran classe e generoso di classici. Categoria alla quale, pur nel contesto di una carriera stellare, iscriverei senza esitare un’arabeggiante The May Queen, il rockabilly inacidato Carving Up The World Again…, una traccia omonima che sostituisce l’Alhambra ai Valhalla che furono. Trapunta di chitarre spagnole, colpita al cuore da un violino gitano. Ancora: una Keep It Hid dal meccanico pulsare quasi Suicide. Almeno.
certo che non lo posso guardare accidenti, ma lo sto asoltando e come dici tu è senza tempo.
Ammiro quest’uomo, potrebbe farsi una pila di soldi con qualche marchetta e invece punta solo alla qualità. Indipendentemente da questo gli ultimi dischi sono tutti molto belli. Vorrei sentirlo dal vivo al più presto.
Visto dal vivo a Milano, un paio di estati fa. Immenso. E’ stato il più grande insieme ai Led Zeppelin, commozione totale per il suo glorioso passato e per il presente fatto di coerenza e rigore stilistico. Molto intensi gli ultimi dischi. Lo seguo su FB e ho visto anche le presentazioni di Carry Fire in giro per le radio di tutto il mondo. E pensare che è una leggenda vivente.. Chapeau!
Eccezionale come sempre
Non solo fa grandi dischi (quello con Alison Kraus è uno spettacolo) ma a memoria è l’unico nel suo mondo che ha rinuciato al richiamo della rimpatriata e della reunion in pianta stabile, stile oldies. Solo per questo merita il più grande rispetto, grande rocker e grande uomo il nostro Percy