Bobby Womack – The Bravest Man In The Universe (XL)

Finora decisamente anno di pantere grigie, il 2012. Tocca farsene una ragione e accettare che è nella logica delle cose che sarà sempre di più così e fintanto che le pantere grigie non cominceranno a lasciarci. Mancano (nel senso di: sono troppo pochi) i grandi artisti giovani e a quei pochi troppo spesso manca il carisma. Stiamo saltando (abbiamo già saltato) intere generazioni e chi ne ha una più acuta, anche dolorosa consapevolezza sono proprio i venticinquenni, i ventenni e a scendere di oggi. I quindicenni che si imbattono su YouTube in questo o quel classico di decenni fa e fra eccitazione e smarrimento si domandano dove siano le loro di canzoni. Ma non è argomento che si possa affrontare e risolvere dicendo di un disco e serviva solo per introdurre a un inatteso e sfolgorante ritorno e al quarto eccellentissimo album pubblicato, in questi primi sei mesi di 2012, da un ultrasessantenne quando non settantenne: dopo “Old Ideas” di Leonard Cohen, “Locked Down” di Dr. John, “Banga” di Patti Smith, ecco a voi “l’uomo più coraggioso dell’universo”. Magari forse no, ma uno dei più stilosi per certo sì. A proposito di “più”: non il più venerando della nobile quanto felicemente scapestrata compagnia, Bobby Womack, e nondimeno colui con lo stato di servizio nettamente più stagionato. Prima esibizione in pubblico? Primavera 1952. Aveva otto anni. Altra cosa che non si può fare recensendo un disco: comprimere in poche centinaia o migliaia di battute che siano una vicenda così lunga.

Tanto lo so che siete preparati e che, se su qualche specifico argomento avete delle lacune, potete cavarvela da soli. Mi limito dunque all’essenziale, partendo dall’incrocio sotto la navata di una chiesa, nel 1953, fra i giovanissimi Womack Brothers e i divi Soul Stirrers, fatidico in quanto Sam Cooke restava impressionatissimo dal ragazzino che sapete. L’uomo di You Send Me scorterà i fanciulli, ribattezzatisi Valentinos, nel passaggio dalla musica sacra a quella secolare ed era bello e amaro che Bobby si conquistasse l’indipendenza in quello stesso 1964 di cui il mentore non vedeva la fine, firma in calce a It’s All Over Now che era la canzone che regalava il primo numero uno americano a tali Rolling Stones. Ma soprattutto gli anni ’70 e i primi ’80 saranno fitti di trionfi per il nostro eroe, artefice di un soul raffinato ma quasi mai lezioso, innervato di country, di pop e di gospel, a un apice di maturità in un paio di lavori entrambi chiamati “The Poet”. Volumi uno e due, ’81 e ’84 rispettivamente. Ed è così che da allora lo chiamano tutti: il Poeta.

E come vogliamo chiamarlo Damon Albarn? Il Rompiscatole? Ma meno male che c’è, meno male che continua a mettere a buon frutto i proventi dei tanti e meritati successi dei Blur, propagandista di world music di un’efficacia e una rilevanza paragonabili ormai a un Peter Gabriel o a un David Byrne e non a quello si limita. Ogni tanto va a scomodare qualche suo idolo. Da lungi Bobby Womack si godeva una dorata pensione, l’ultimo lavoro in studio faccenda del lontano 1999, e chi va a disturbarlo? Era il 2010, la scusa un cameo in “Plastic Beach” dei Gorillaz, ma sul fatto che Albarn da subito avesse in mente ben altro scommetterei qualunque cifra. Ed eccolo il “ben altro”, tredici brani per complessivi trentasette minuti che, come ha magistralmente sintetizzato Stephen Thomas Erlewine, suonano cento per cento 2012 e cento per cento Bobby Womack, un po’ come accadeva due anni or sono con lo sfortunatamente testamentario “I’m New Here” di Gil Scott-Heron. Scorretene i crediti: vi imbatterete lì pure in Albarn e soprattutto in Richard Russell, arrangiatore e produttore che alla realizzazione di “The Bravest Man In The Universe” ha offerto un apporto almeno altrettanto decisivo. Esattamente a metà scaletta, in un interludio di ventuno secondi, Gil viene a farci un saluto dall’oltretomba e confesserò di essermi commosso. Intorno, un disco con la batteria dell’hip hop, i suoni del downtempo più fosco e in mezzo come nulla fosse schegge di gospel (Sweet Baby Mine) e scorci di jazz (Dayglo Reflection), ritagli cameristici (l’attacco della traccia omonima) e fughe per tangenti techno (Jubilee). Gli apici due apparenti opposti: una ballata acustica come Deep River all’incrocio fra Impressions e Otis Redding, una Nothin’ Can Save Ya che ipotizza un Tricky pacificato in una cornice di Portishead paranoici.

2 commenti

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2 risposte a “Bobby Womack – The Bravest Man In The Universe (XL)

  1. Nicholas

    Guarda come è piccolo il mondo! Su wikipedia ho notato che la maggior parte dei brani di “The Poet” I e II sono scritti insieme a Jim Ford

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