Presi per il culto (17): Cymande – Cymande (Janus, 1972)

Questa che vado succintamente a raccontarvi è una storia curiosa, ma senza drammi. Quasi una bella favola, sebbene sia pure il resoconto di un fallimento. È un benevolo caso che le fornisce l’incipit. Il 18 ottobre 1971 John Schroeder si reca in un club del quartiere londinese di Soho per visionare un gruppo. Già produttore per EMI e Pye, primo a dare alla Motown una distribuzione britannica, ha fatto due soldini scoprendo gli Status Quo e soprattutto cofirmando un numero uno per Helen Shapiro e vendendo in proprio quel milione di copie di un 45 giri a nome Sounds Orchestral. La band che vorrebbe vedere ha dato forfait e in sua vece si esibiscono i Cymande (nel folklore delle Indie Occidentali, da dove tutti quanti provengono, è la parola per “colomba”, simbolo universale di pace), che a questa altezza sono Ray King (voce), Patrick Patterson (il leader; chitarra), Steve Scipio (basso), Mike Rose (sassofono, flauto e bonghi), Derek Gibbs (secondo sassofono), Peter Serreo (terzo sassofono), Pablo Gonzales (conga) e Sam Kelly (batteria). Schroeder resta affascinato da ciò che ascolta, miscela inaudita di funk e psichedelia, afrobeat e latinismi santaniani, jazz e soul, con un retrogusto di reggae e in tralice persino del progressive, e in novembre fa registrare ai ragazzi un demo con quattro pezzi, pur non sapendo bene ancora che farne. Lo porta con sé quando nel gennaio seguente va a Cannes, al MIDEM, e fra coloro ai quali ne allunga una copia c’è Marvin Schlacter della Chess. Al ritorno a Londra trova un telegramma “Cymande, ottime reazioni, ci piacerebbe pubblicarli”.

Ed è così che il primo, omonimo LP di una formazione che nel frattempo ha cambiato cantante (il nuovo è Joey Dee) esce sull’etichetta personale di Schroeder, la Alaska, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti per una dipendenza della casa cui dobbiamo Chuck Berry e Muddy Waters. Esordio superlativo, forte di brani sensazionali come le ultralisergiche Dove e One More, la sognante Listen, le tribali Rastafarian Folk Song e Zion I e soprattutto The Message, caracollante funk in salsa latin-jazz che fa il botto nelle radio. I Cymande vengono convocati in gran fretta per una serie di spettacoli dal vivo (per l’occasione Desmond Attwell prende il posto di Serreo) e, increduli, si trovano a suonare all’Apollo e a conoscere diversi dei loro eroi, ubriacatura di gloria che passa alla svelta quando al ritorno a Londra scoprono che l’album, che negli Stati Uniti ha stabilito un piccolo record finendo in tutte e tre le classifiche (jazz, R&B e pop), è passato (San John Peel unico propagandista) completamente inosservato a casa loro, flop che farà sì che la Alaska non possa nemmeno permettersi di stampare il successore, “Second Time Round”. Vedrà così la luce soltanto negli USA, sempre su Janus, suscitando pur’esso buone reazioni, soprattutto con la dinoccolata Fug. Per cogliere l’attimo bisognerebbe avere la voglia e il coraggio di trasferirsi. Ai Cymande mancano. Nel 1974 “Promised Heights” li scopre in forma ancora smagliante (Brothers On The Slide forse il migliore apocrifo di Curtis Mayfield di sempre, Equatorial Forest una gemma di progressive da un altro pianeta), ma è l’addio. Un ulteriore, non eccezionale 33 giri, “Arrival” (coinvolti Patterson, Scipio, Rose e Kelly), farà capolino nel 1981 su Winley, label newyorkese fra le prime a licenziare rap: significativa coincidenza. E poi basta davvero. Basta?

Forse fino a oggi i Cymande non li avevate mai sentiti nominare e nondimeno è altamente probabile che, senza saperlo, abbiate negli scaffali della musica di costoro. Basta che possediate “3 Feet High And Rising”, debutto dei De La Soul e caposaldo fra i massimi dell’hip hop datato 1989. Puntate la terza traccia, Change In Speak, ed ecco, gira su un campionamento di Bra, da questo primo LP di Patterson e soci. Riprendete in mano l’originale: pulsazione iperfunk del basso subito ancorato a terra/scagliato al cielo da fiati qui randellanti, là sinuosi, e voci insieme calorose e ieratiche. In mezzo, un break che urla “campionami! campionami!” (e difatti…) e una chitarra elettrica che fa capolino e sguscia, ebbra di fumi stupefacenti. Se Fela Kuti fosse stato George Clinton? In tanti sono da allora andati dietro ai De La Soul, dai Fugees a DJ Kool, da Heavy D a Master Ace, a (uscendo dagli USA) MC Solaar e Ruthless Rap Assassins. Se tutti hanno pagato il dovuto, probabile che i componenti di Cymande abbiano guadagnato dalla loro musica più nei ’90 che nei ’70. Non che ne abbiano particolarmente bisogno. Patterson è un avvocato di grido, Scipio fa il giudice, altri si sono più plausibilmente affermati come turnisti. Ve l’avevo detto che in fin dei conti era una bella storia.

9 commenti

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9 risposte a “Presi per il culto (17): Cymande – Cymande (Janus, 1972)

  1. david mariotti

    Grande segnalazione! Scoprii i Cymande qualche anno fa grazie a La 25esima ora di Spike Lee. Nella scena in discoteca a circa 3/4 di film si possono sentire prima Cavern dei Liquid Liquid (ed è una gioia per gli occhi vedere Anna Paquin e Rosario Dawson che ballano), poi Bra dei Cymande che fa da sottofondo ad uno dei siparietti più riusciti del film (impagabile l’interpretazione di Philip Seymour-Hoffman).

    Hai mai pensato ad un articolo sui connubi perfetti tra musica e cinema?

  2. stefano piredda

    Bella, ‘sta cosa dei culti…
    Ma proprio bella.

    (a quando Phil Shoenfelt?)

  3. mimmo monopoli

    mi sai dire qualcosa dei Demon Fuzz e del loro album Afreaka ?
    grazie e sempre complimenti per i suggerimenti

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