Yo La Tengo – Fade (Matador)

Yo La Tengo - Fade

Ridendo, scherzando e suonando bella musica, saranno fra poco trent’anni che gli Yo La Tengo son fra noi. Sta a Ira Kaplan, Georgia Hubley e James McNew (che con il cognome che si ritrova non può lamentarsi se, dopo due abbondanti decenni di militanza, è ancora quello “nuovo”) decidere quando festeggiare un traguardo così importante. Se l’anno prossimo, visto che era il 1984 quando Ira e Georgia decidevano di rendere il loro sodalizio, oltre che sentimentale, artistico oppure nel 2015, giacché il debutto discografico assoluto, con il sette pollici The River Of Water, data ’85. O se spostare ancora più in là le celebrazioni, essendo il 33 giri d’esordio “Ride The Tiger” una faccenda dell’86. Se rispetteranno l’ormai tradizionale iato triennale fra un’uscita maggiore e l’altra avranno allora da portare in tour, con i tanti stupendi insuccessi di una vita da cocchi della critica, il loro quattordicesimo album. Il tredicesimo è da un paio di settimane nei negozi e, se date retta a me, dovreste senz’altro farlo entrare in case dove auspicabilmente già dovrebbero avere trovato ospitalità i precedenti dodici, o almeno la stragrande maggioranza di essi, e possibilmente anche qualcuna (personalmente ho un debole per “Genius + Love”) delle diverse raccolte di inediti, rarità, versioni alternative. Sempre che per l’underground che da sempre di Velvet Underground si nutre nutriate un interesse pur minimo. Una volta che mi abbiano deluso in tutto questo tempo “ragazzi” e “ragazza”… ma dico una!

L’avrete inteso: con il trio di Hoboken sono di parte. Rispetto ad altri articoli del suo formidabile catalogo, “Fade” ha impiegato qualche passaggio in più a sbocciare completamente, a conquistarmi senza più riserve (tolta una interminabile traccia fantasma di sfiancante illbient più che ambient: pletorica fuga per pur meno rumorose tangenti di metal machine music). E nemmeno adesso e probabilmente mai lo indicherei come uno dei titoli da cui partire per avvicinarsi ai nostri eroi e che restano “Painful”, “I Can Hear The Heart Beating As One”, “And Then Nothing Turned Itself Inside Out”. E tuttavia se i suddetti già li avete… Ecco: se “Fade “somiglia – per suoni, respiro, atmosfere – a uno di questi capolavori è al secondo, al netto dei rockismi più pronunciati che ne perturbavano il suadente fluire. Qui le chitarre mordono e centrifugano in una iniziale Ohm appoggiata a una battuta quasi hip hop e stridono appena in una in ogni caso melodiosa Paddle Forward. Laddove invece sorridono e poppeggiano scintillanti in una Is That Enough che in un mondo migliore scalerebbe le classifiche e sono post-folk in una Stupid Things che trovo molto Stereolab (idem The Point Of It) e in una I’ll Be Around che sono i Cul De Sac alle prese con Nick Drake piuttosto che con John Fahey. Comunque felpate in una Two Trains dal passo prevedibilmente ferroviario e parimenti ma diversamente vellutate (ossia velvettiane) in una Before We Run (la più bella del mazzo in una lotta all’ultimo battimani con la contraddizione in termini in forma di minimalismo barocco di Cornelia And Jane) che è come chiudesse un cerchio: forse nell’unico brano in cui la mano del nuovo produttore (dopo diverse consecutive regie di Roger Moutenot) John McEntire si avverte davvero, in un’orchestrazione squisita di archi e ottoni, gli Yo La Tengo provano ad aggiornare “Forever Changes”. Per chi se lo ricorda, il retro di “The River Of Water” era una cover di “A House Is Not A Motel”.

6 commenti

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6 risposte a “Yo La Tengo – Fade (Matador)

  1. Anonimo

    Parole sante …… Raramente sbagliano un colpo

  2. CliffSteele

    Hai mai scritto un articolone su tutta la carriera degli Yo La Tengo ?

  3. Nicholas

    l’articolo su extra è piaciuto molto anche a me, appoggio appoggio

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