All’altezza – 2008 – del colossale in ogni senso, con la sua abbondante ora e dieci di durata, “Directions To See A Ghost” i Black Angels erano in sei. Quando due anni dopo davano con “Phosphene Dream” un assai più maneggevole seguito (dimezzato il minutaggio) a quello che resta non solo il loro capolavoro ma l’album psichedelico per antonomasia del decennio, uno dei componenti era nel frattempo venuto a mancare all’appello. Adesso sono rimasti in quattro e l’impressione è che a questo lasciare pezzi per strada corrisponda una certa perdita di profondità, di varietà di una tavolozza che pure resta policroma. Rispetto al predecessore, “Indigo Meadow” difetta anche, per buona parte dei suoi tre quarti d’ora, di quell’inedita brillantezza ai limiti e oltre del pop che aveva consentito a quello una più che discreta performance commerciale, con tanto di ospitata da Letterman e un brano finito a far da colonna sonora alla pubblicità di un’auto. Nel quarto album dei Texani non balena che occasionalmente. Non inganni il senso di familiarità che non occorre essere dei superappassionati di cose Sixties per provare di fronte a ciascuna di queste tredici canzoni, non si scambi per memorabilità il già sentito. Ciò premesso: è ancora di una band di un livello assai superiore alla media odierna del rock che si sta parlando e, se in “Indigo Meadow” si possono cogliere indizi di discesa a valle, è perché si partiva da vette sì vertiginose che l’aria era rarefatta. Dava alla testa.
Punto di forza dei Black Angels dal giorno uno, da quel “Passover” (2006) magari acerbo ma straordinariamente promettente, la loro capacità di ricombinare stilemi riconoscibilissimi se considerati singolarmente – dai concittadini e maestri 13th Floor Elevators a quei Velvet Underground dai quali hanno preso il nome usando come anello di congiunzione gli Spacemen 3, dai Grateful Dead al netto degli influssi roots ai My Bloody Valentine via Brian Jonestown Massacre – in un sound a suo modo peculiare, riconoscibilissimo. Lungi da loro qualsiasi revivalismo filologico e non è che oggi vi indulgano, non troppo almeno. Appaiono però più facilmente incasellabili. Da Holland come da Always Maybe ti attendi che emerga da un attimo all’altro la voce di Roky Erickson, Love Me Forever è doorsiana in una maniera sfacciata e idem I Hear Colors e l’attacco di Black Isn’t Black, Twisted Light è una scheggia di “Nuggets” dalle parti dei Seeds e, spostandosi idealmente avanti di qualche anno, You’re Mine sono i Suicide più ammiccanti. Facilmente pronosticabile come prossimo singolo quest’ultima, in alternativa allo stomp fragrante di glam di Broken Soldier. Come biglietto da visita è stata scelta Don’t Play With Guns, tambureggiante quanto slanciata, vortice di chitarre affilate attorno a un gancio di efficacia un po’ meccanica, pedestre. Meglio una title-track (depistantemente in apertura) nella quale ragazza e ragazzi mischiano le carte come usavano un tempo trafiggendo un cuore acido con saette di surf.
Dovessi tradurre queste righe in un voto numerico, ce la farebbe l’Lp in questione a strapparti un 6,5?
Lo sto ascoltando e ho pensato subito che fosse sì gradevole, ma leggermente più evanescente, meno consistente degli ottimi lavori precedenti. Esattamente come hai ben scritto tu.
Ma direi anche un 7-, considerando che si parte dal quasi 9 di “Directions To See A Ghost”.
boh… a me sembra un gran bel disco anche questo, diciamo tra il sette e l’otto (considerando pure la concorrenza). Poi certo concordo che è inferiore agli altri tre (si parte da un 9 abbondante al secondo, mentre il primo e il terzo, pari merito, per me stanno tra l’otto e il nove…medie altissime quindi).
Per me un otto pieno, un pelino sotto agli altri forse ma ancora bello sano.
Grande, grandissimo gruppo, solo una domanda VM: perché se Phosphene Dream è un capolavoro assoluto, nei 1000 dischi fondamentali avete messo Directions To See A Ghost? e se quest’ultimo è da 9, secondo me il primo, che adoro, vale 10 pieno… ciao
Rileggi bene l’inizio della recensione. Non ho dubbi riguardo a quale sia l’apice della discografia dei Black Angels e lo chiarisco subito: IL classico è “Directions To See A Ghost”.
Scusami, non avevo letto bene, secondo me rimangono comunque entrambi grandi dischi, vado fuori tema, per i culti posso proporre i 68 comeback?
Possibile che prima o poi arrivi il loro turno.