Born Under A Bad Sign – La vita e l’arte di Little Walter

Innovativo quanto Charlie Parker o Jimi Hendrix ma infinitamente più influente per il suo strumento e il settore musicale di appartenenza. A oltre quarant’anni dacché ci lasciò (più di quelli che passò su questa terra), Little Walter è vivo e suona per noi. L’armonica.

Per quel che può valere un riconoscimento che ha il merito ─ e insieme il torto ── di avere ufficializzato l’ingresso di questa nostra musica nelle accademie, il 10 marzo 2008 Marion “Little Walter” Jacobs è stato introdotto nella “Rock And Roll Hall Of Fame”. Non era mai accaduto prima per un armonicista e chissà se mai più accadrà, essendo al massimo cinque ─ James Cotton l’unico vivente e poi (li sistemo in ordine di scomparsa) Sonny Boy Williamson II, Slim Harpo, Sonny Terry e Junior Wells ─ quelli che potrebbero nutrire qualche legittima ambizione in tal senso. Ma è un po’ come cercare di mettere sullo stesso piano Bird e un qualsiasi altro grande sassofonista jazz, Jimi e un qualsiasi altro grande chitarrista rock, parlando di tecnica e valenza compositiva e dimenticandosi che nessuno aveva mai suonato così prima di loro e tutto il resto del mondo ha poi cercato in qualche misura di emularli. Per l’armonica blues c’è un “prima” e un “dopo” Little Walter e da un abbondante mezzo secolo nessuno e nulla che con Little Walter non debba fare i conti. In questo senso è vivo e a ragione di ciò fa ancora più male pensare a come si congedò, consumato dall’alcool, dalla disillusione, dal rancore. Il certificato di morte data 15 febbraio 1968 e attribuisce il decesso a una trombosi coronarica. Ci fu un’inchiesta della polizia, giacché la sera prima di una morte sopraggiunta nel sonno il nostro uomo era stato coinvolto in un violento alterco nell’intervallo di un suo spettacolo, ma in assenza di ogni chiara evidenza al riguardo non si poté che attribuirla ufficialmente a “cause naturali o comunque sconosciute”. Non puoi imputare un’inondazione all’ultima goccia caduta, per quanto sia stata quella a fare vani gli argini. Una rissa risultava fatale, ma prima ce n’erano state decine e ciascuna aveva avuto delle conseguenze, fisiche e mentali. Little Walter se ne andava qualche mese prima di compiere trentotto anni ma dentro era già morto da un pezzo. Lo testimoniano quelle ultime foto tremende, gli occhi acquosi e tristi, accusatori, la faccia di un vecchio disseminata, oltre che di rughe, di cicatrici. Lo testimoniano le ultime incisioni, del ’67 e raccolte in un album che sulla carta avrebbe dovuto essere da sogno, Bo Diddley e Muddy Waters a dare una mano in studio, e nei fatti si trasformò in un incubo. La Chess lo pubblicò lo stesso ed ebbe pure l’ardire di chiamarlo “Super Blues”. AMG lo liquida in una riga con parole feroci ─ “lethargic and at times comical” ─ e c’è poco da ridire. Little Walter se ne andava disperato e io se fossi Dio quel 10 marzo 2008 lo avrei resuscitato giusto per qualche ora, per quindi donargli davvero la pace.

Prosegue per altre 6.709 battute su Super Bad! – Storie di soul, blues, jazz e hip hop. Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.659, giugno 2009.

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