Algiers – Algiers (Matador)

Algiers - Algiers

L’esordio più atteso dell’anno? Se si parla di hype diffuso certamente no, siccome il gruppo formato ben sette anni fa ad Atlanta, Georgia, dal cantante Franklin James Fisher, dal chitarrista Lee Tesche e dal bassista Ryan Mahan (organico enunciato così per comodità, tutti e tre si dividono in realtà fra diversi strumenti) non può esibire una discografia pregressa numericamente consistente (giusto due singoli) e non vanta tour di spalla a nomi importanti prima di quello, in corso nel momento in cui scrivo, come supporto dei compagni di etichetta Interpol. Né è stato oggetto, a oggi, di quel chiacchiericcio diffuso nella blogosfera talvolta propedeutico prima all’interesse dei siti che fanno tendenza, quindi di quanto resta della stampa specializzata. La cartellina dei ritagli ne contiene ancora pochi e però “pesanti”, visto che a spendere parole lusinghiere sono stati il “Guardian” (vogliamo parlare dello spazio che dedicano alla popular music certi quotidiani esteri, e della competenza con cui se ne occupano, e paragonarla alla miserevole situazione italiana?), “Wire”, “The Quietus”, “Stereogum”. Considerato pure il marchio storico e prestigioso in materia di underground USA che griffa questo debutto in lungo e il risalto con cui annunciò lo scorso gennaio l’ingaggio dei nostri eroi, ce n’era abbastanza da incuriosirsi ed ecco, per quanti si sono scomodati ad ascoltare quel paio di assaggi di cui sopra e gli altrettanti resi disponibili negli ultimi mesi “Algiers” era sì, potenzialmente, l’esordio più eccitante da un bel po’ di tempo in qua. Ebbene: tutte le promesse sono state mantenute. Si è andati anzi anche oltre. Parecchio.

Per cominciare: roba inaudita e ditemi voi, senza finire in un ambito di avanguardie peraltro quasi sempre solo presunte, da quanto non vi capita di mettere orecchio a un disco nuovo e, pur riconoscendo questa e quella influenza, pensare di non averne mai sentito in precedenza uno che suonasse proprio così. A cominciare dal folgorante incipit rappresentato dai 3’06” di Remains, due bordoni, uno strumentale e uno vocale, appoggiati a un battito di mani e sopra una voce ipnotica che declina come uno spiritual, immerso però in un gelido panorama post-punk. Attacco stridulo, la successiva Claudette propelle una coralità esultante su una pulsazione che non si può che definire industrial, trucco in parte replicato da And When You Fall con un accellerare che porta alla frenesia. Brusca la frenata impressa da una Blood marchiata sublimemente a fuoco dal gioco negro di chiamata e risposta fra le voci e da chitarre aguzze e aspre, arrivata alla quale si pensa di avere inteso quale sia la cifra stilistica degli Algiers: connubio fra le radici più remote della musica afromericana, ovvia dote del colored Fisher, e la lezione di una new wave giunta (si pensi ai P.I.L. del “Metal Box”) a preconizzare quello che tre buoni lustri dopo verrà chiamato post-rock. Ci aveva mai pensato nessuno in questa precisa forma? Sarebbe tanto, ma non finisce qui. Eccovi servita una Irony. Utility. Pretext. che si avvia illbient e decolla Nine Inch Nails e potrebbe pure divenire una hit. O ancora Games, che fa mettere insieme due etichette rarissimamente accostate, “soul” e (come gusto più che come impianto) “progressive”. Sfuma il gospel schietto quanto modernissimo di 11 e fai ripartire tutto daccapo. Per cercare di capire cosa sia successo.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.364, giugno 2015.

7 commenti

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7 risposte a “Algiers – Algiers (Matador)

  1. Demis

    disco mostruoso, lo ricorderemo tra i migliori esordi di sempre

  2. Pingback: alcuni aneddoti dal futuro degli altri | 04.08.15 | alcuni aneddoti dal mio futuro

  3. stormo del triangolo

    Mi pareva strano che sfuggisse al Venerato

  4. Mi sa che è nella mia lista dei preferiti del 2015

  5. Giancarlo Turra

    disco superbo!

  6. DaDa

    Classico disco che piace agli “orfani ” della new wave,,,, Voce superba e calda su musica (a volte) algida e precisa ( krauta ?). A tratti mi ricorda certe cose di Mark Stewart: lui destrutturava il dub, gli Algiers il gospel. Disco dell’anno (finora).

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