Mi è capitato di recensire veramente chiunque in vita mia, ivi compreso il buon Demis Roussos, che ci ha appena lasciati piuttosto prematuramente e me ne dispiaccio. Ne scrivevo non una ma ben due volte.
Aphrodite’s Child – Babylon The Great (Mercury)
Gramo destino postumo quello dei greci Aphrodite’s Child, popolarissimi un po’ in tutta Europa (persino in Gran Bretagna godevano di discreta fama) sul finire dei ’60 ma destinati a venire svillaneggiati nei secoli dei secoli per le imprese solistiche del loro cantante Demis Roussos, idolo un vent’anni fa per casalinghe poco acculturate con la ciccia di Barry White e l’attitudine rock’n’roll di Julio Iglesias. Né valeva finora a riscattarne la memoria il fatto che il tastierista Evanghlos Papathanassiou, meglio noto come Vangelis, è colui che ha scritto uno dei più memorabili temi cinematografici di sempre, quello di Bladerunner: controbilanciano abbondantemente le terribili collaborazioni con Jon Anderson degli Yes. Bello è però ogni tanto vedere smentiti i propri pregiudizi: corposa raccolta assemblata con brani tratti dai tre album del combo ellenico (manca curiosamente il successone Rain And Tears; compensa il chilometrico inedito Chakachak, che parte brazileiro e jazzy e finisce progressivo e gotico), “Babylon The Great” induce, se non a gridare alla grande scoperta, a collocare il gruppo fra le curiosità d’epoca meritevoli di indagine.
Pensate a una via di mezzo fra i Procol Harum e i Traffic (ma più prossima ai primi), a dei Family più pop che ogni tanto (Magic Mirror) credono di essere i Cream. L’acido, stridulo, ossessivo carillon di You Always Stand, i vortici lisergici del finale di The Grass Is No Green, la cantilenante psichedelia molto folky e molto British (un po’ Incredible String Band) di The Shepherd And The Moon, il dolcissimo addio da Beatles tardi di Break regalano suggestioni un po’ polverose ma gradevoli e tutto sommato non banali.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.495, 16 luglio 2002.
Demis Roussos – On The Greek Side Of My Mind (RPM)
Per quelli della mia generazione Demis Roussos è il diversamente magro che, avvolto in vestagliona da notte, ti infligge porcate inenarrabili come Dolce veleno, Credo e la più spaventosa di tutte, Profeta non sarò: roba che se la senti a quindici anni ti traumatizza a vita. Un Julio Iglesias con le fattezze di un Luciano Pavarotti e se riuscite a immaginare un incubo più incubo avete una bella fantasia. Poi, certo, era anche “quello che stava con Vangelis negli Aphrodite’s Child” e uno si domandava come si potessero prendere percorsi così diversi, quegli a scrivere la colonna sonora di Bladerunner, questi a cantare “dimmi amore se mi vuoi/dimmi se mi seguirai/in qualche mare ci sarà/un’isola di eternità/solo per noi”. Non che gli Aphrodite’s Child, poi recuperati per curiosità, si fossero rivelati chissà quale scoperta – un onesto gruppo all’incrocio fra psichedelia e progressive reso più intrigante della media giusto dall’evidenza delle radici folcloriche greche – ma insomma… Vale all’incirca la stessa etichettatura per questo che fu nel 1971 (dunque prima che il trio completato da Loukas Sideras si sciogliesse) il primo LP in proprio del cantante. C’è già più pop però, specialmente nella ruffianissima We Shall Dance. Se She Came Up From The North e Lord Of The Flies fanno tanto ma tanto Cat Stevens, My Friends You’ve Been Untrue To Me è tanto ma tanto Jethro Tull. Caruccio, dai.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.700, novembre 2012.
Questo deve fare un critico: recensire tutto senza paraorecchie e senza pregiudizi. Tempi di vita permettendo, ovviamente.
Mi piace pensare che l’ispirazione a pubblicare questo articolo proprio oggi non sia pura coincidenza, anche se non sarà così ovvio… Alla digressione sulle fattezze di Demis Roussos sono caduto dalla sedia :-))
Ho visto adesso la notizia della sua scomparsa, non avevo letto bene la tua presentazione in cui lo dicevi…chiedo scusa